12 Minutes - VisiThors

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Ogni tanto succede che escano dei titoli incredibilmente divisivi per pubblico e critica. Sono quelle opere di cui si sente parlare o come di capolavori incredibili o monnezze indescrivibili, e su cui sono rari i pareri tiepidi. Twelve Minutes è forse il titolo di quest’anno che ha polarizzato di più il pubblico. Da un lato, recensori entusiasti che lo definiscono una meravigliosa ventata d’aria fresca nel panorama dei punta e clicca, e addirittura un autore del calibro di Hideo Kojima che ha affermato di essersi sentito ispirato dal titolo, e che non si sentiva così coinvolto da un gioco dai tempi di Inside (un platform indie che è un piccolo capolavoro); dall’altro, testate giornalistiche che l’hanno definito un giochino pretenzioso ma che non arriva a concludere nulla di concreto, con una sottolineatura della bruttezza del finale. A quanto pare è proprio il finale ad aver creato questa spartizione così netta e, senza fare spoiler, è facile capirne il perché: appare quasi buttato lì senza un motivo preciso, oltre che a sembrare totalmente fuori luogo con informazioni ottenute in precedenza. Forse, però, non è proprio così ed il gioco si prende la licenza poetica di lasciar cogliere ed interpretare un paio di dettagli fondamentali al giocatore, che in parte, dal mio punto di vista, redimono il finale, ma non tolgono che sia forzato e difficile da digerire.
 
Ma vediamo rapidamente qual è stata la storia di Twelve Minutes.
 
Luis Antonio è la mente dietro questa peculiare opera, prima un artista che aveva collaborato con Rockstar ed Ubisoft e che poi ha deciso di gettarsi nello sviluppo indie per poter, senza troppi giri di parole, fare di testa sua senza delle pressioni particolari (pretenzioso, ma non nego di avere una particolare simpatia per personaggi del genere). Antonio ha presentato per la prima volta il titolo nel 2015, con un’uscita programmata per il 2016. Nel frattempo, è riuscito però ad includere altri cinque collaboratori nel progetto e ad ottenere il supporto di Annapurna Interactive, una casa produttrice che ci ha sempre offerto dei titoli indie molto interessanti (basti pensare all’esperienza unica che è What Remains of Edith Finch). La cosa l’ha portato a modificare molte cose del progetto originale, arrivando a presentare al grande pubblico Twelve Minutes all’E3 2019, durante la conferenza Microsoft (il gioco è in esclusiva per PC Windows e le varie Xbox): il trailer ha catturato subito l’attenzione, promettendo un thriller interattivo con protagonista un uomo che rimane bloccato in un time loop di pochi minuti. L’uscita pensata per il 2020 è stata posticipata a causa delle complicazioni e dei rallentamenti che ha portato la pandemia, ma finalmente ad agosto 2021 Twelve Minutes è arrivato sugli scaffali (sempre più figurati) dei videogiocatori, preceduto da un trailer di lancio incredibile, che rivelava anche la presenza delle voci di tre attori d’eccezione: James McAvoy, Daisy Ridley e Willem Dafoe.
 
Cast stellare, idea interessante, dai trailer una storia carica di tensione ed intrigante. Tutto punta verso un’unica soluzione: Twelve Minutes deve essere incredibile. E lo è… ma non fino in fondo.
la sala da pranzo, prima che la tranquillità venga interrotta
I
 
In questa sezione descriverò le premesse della storia, che sono le stesse deducibili ed esplicitate da entrambi i trailer: però, se siete tra i pochi a non averli mai visti e volete buttarvi nell’esperienza totalmente all’insaputa di tutto, non leggete questo articolo e andate direttamente a prendere il gioco e giocarvelo. È impossibile parlare di Twelve Minutes senza fare minimi riferimenti a quello che succede almeno durante i primi minuti di gioco, quindi se volete un’esperienza completamente “al buio” tornate qui a gioco terminato. Mi concedo solo un content warning. Per me (persona che non digerisce bene la violenza gratuita ed esplicita) non ci sono stati problemi di alcun tipo, ma online c’è stato un po’ di rumore a causa della mancanza di trigger warning prima di iniziare a giocare. Ora, a parer mio sarebbe logico aspettarsi delle scene forti da un gioco con PEGI 18, ma a quanto pare il problema che ha creato disagio non è stata la presenza di scene violente, ma alcuni temi trattati e il come si svolgono quelle sequenze. In effetti il trailer lascia presagire qualcosa, ma non l’interezza di quello cui il giocatore si troverà davanti: nel momento in cui si guardano i trailer di un The Last of Us Part II si sa senza nessun ragionevole dubbio che ci troveremo davanti scene molto forti, per Twelve Minutes non è così logico, e posso capire che persone con una particolare sensibilità a certi temi abbiano avuto problemi. Senza fare spoiler, ecco la più sommaria descrizione possibile di quello a cui ci troveremo davanti: violenza cruda e molto reale (scordatevi sangue che schizza a random dappertutto o gore estremo), violenza domestica, e tematiche sessuali decisamente… controverse. Aspettatevi tutto questo (per quanto alcune delle scene più forti potrebbero non essere mai viste dai giocatori in base alle loro scelte e la visuale dall’alto aiuti a rendere il tutto meno d’impatto), e se siete qualcuno che per qualsiasi motivo personale non regge contenuti di questo tipo o sa che rischiano di essere un trigger, non giocate Twelve Minutes. Se siete comunque curiosi ma è proprio l’interattività del medium a rendervi stomachevoli certe scene, recuperate qualche run completa, anche perché essendo un gioco fortemente narrativo l’unica cosa che vi renderà l’esperienza castrata è la serie di scelte possibili, cui però potrete sopperire cercando altrove finali, sviluppi differenti e iada iada iada.
La visuale dall'alto limita l'impatto, ma la violenza come vedete è ben presente
Detto questo, torniamo a noi.
 
Interpretiamo un uomo che torna dal lavoro a casa propria, un bilocale che condividiamo con nostra moglie. Quella che ci aspetta è una serata speciale: nostra moglie ci rivelerà infatti di aspettare un bambino. Ad interrompere immediatamente l’atmosfera gioiosa del momento (o carica di tensione, dopotutto saremo noi a scegliere come prendere la notizia) un uomo che bussa alla porta. Lo sconosciuto (uno spaventoso Willem Dafoe) dirà di essere un poliziotto con un mandato d’arresto per nostra moglie, e immediatamente si dimostrerà particolarmente aggressivo, gettando a terra ed immobilizzando prima lei, e poi noi. Mentre siamo inermi, l’uomo inizierà ad accusare nostra moglie di aver ucciso suo (di lei) padre otto anni prima, e le chiederà dove si trova un orologio. Nostra moglie negherà tutto, e ovviamente noi cercheremo di difenderla e difenderci, solo per culminare in un brutale pestaggio o strangolamento da parte dello sconosciuto.
 
In seguito alla nostra morte, ci risveglieremo appena oltre la nostra soglia di casa, confusi e non avendo la minima idea di cosa sia successo. Ci aspetta qualche ora di indagine e violenza, mentre il nostro protagonista cerca di mettere un senso a tutto quello che sta accadendo e sta distruggendo la sua vita, facendolo dubitare della persona che ama di più al mondo.
II- GAMEPLAY
 
Partiamo dalle fondamenta del titolo e dalla sua caratteristica che più fa temere e al contempo può affascinare: il loop temporale. Escludendo la prima “run”, che è introduttiva e quindi terminerà direttamente con il nostro perdere i sensi per mano del poliziotto, poi ci troveremo a rivivere costantemente quei 10 minuti che intercorrono fra il nostro ingresso nell’appartamento e l’arrivo dello sconosciuto (perché il gioco allora non si chiama “Ten Minutes”? Lo scopriremo verso la fine dell’avventura). I 10 minuti in gioco scorreranno 1:1 con il tempo reale, quindi avremo effettivamente 10 minuti precisi ogni volta per cercare di ottenere più informazioni possibili ed uscire da questo circolo vizioso in cui ci siamo misteriosamente risvegliati. Ci sono due modi in cui potremo ricominciare il loop: aspettando i 10 minuti normalmente, spendendoli dialogando, rovistando nell’appartamento e in generale cercando di unire i pezzi del puzzle, oppure eseguendo una serie di azioni che ci faranno ricominciare da capo. In generale, qualsiasi scelta porti alla nostra morte o al nostro svenimento ci porterà all’inizio di un nuovo loop, così come anche il tentativo di uscire dall’appartamento per scappare. D’altro canto, se stiamo conducendo le nostre indagini e per qualche motivo ci serve o vogliamo direttamente passare alla parte in cui interagiremo con il poliziotto, non avremo bisogno di passare 10 minuti a non fare niente in attesa: ci saranno un paio di interazioni che ci permetteranno di aspettare in-game, facendoci “saltare” qualche minuto per trovarci direttamente al momento dell’incontro.
 
Le vicende del gioco si svolgono in un ambiente molto ristretto: escluso l’ascensore e il corridoio iniziale che ci condurranno alla porta del nostro appartamento, la storia prenderà luogo all’interno dell’appartamento stesso, un piccolo bilocale composto da un salotto-cucina, una camera da letto e un bagno.
 
Il tutto viene gestito con la più classica struttura da punta e clicca: l’intero titolo è giocabile semplicemente con il mouse, dato che movimento, dialoghi ed esplorazione sono tutti gestiti tramite il movimento del cursore e poi la pressione del tasto sinistro (ovviamente il tutto è trasponibile su console senza problemi, ma lo sappiamo che il modo più intuitivo di giocare un punta e clicca è proprio il mouse). Cliccando sui vari oggetti potremo o esaminarli nel caso in cui siano troppo grandi, o raccoglierli per conservarli nel nostro inventario. L’inventario sarà accessibile in qualsiasi momento muovendo il cursore nella parte alta dello schermo, oppure tramite le frecce direzionali o i dorsali se si gioca con un controller. Dall’inventario potremo fare principalmente tre cose: interagire noi stessi con gli oggetti posseduti, “mescolare” gli oggetti tra loro in modo da ottenere qualcosa di nuovo, oppure prendere gli oggetti e farci interagire gli altri personaggi, sia la moglie che il poliziotto. Il tutto è eseguibile tenendo premuto il tasto destro del mouse (o A) quando il cursore è sull’oggetto, per poi spostarlo su un altro oggetto o sulla persona a cui vogliamo mostrarlo.
 
Proprio nel funzionamento di questa struttura, Twelve Minutes presenta qualche problema, che pur non essendo tale da rovinare l’esperienza di gioco, può far storcere il naso, a tratti risultare un po’ frustrante e in generale fa scorgere il fatto che il titolo sia indie, e con non molto budget alle spalle: non mancheranno infatti compenetrazioni, i personaggi che scontrandosi tra loro non riescono a proseguire e continuano a camminare sul posto come degli idioti, e delle limitazioni alle azioni che possiamo compiere che, per quanto funzionali alla trama, sono veramente eccessive e alle volte quasi ridicole. Per esempio (non è uno spoiler perché è forse la prima cosa che si prova a fare quando il poliziotto fa irruzione, ma la prudenza non è mai troppa e quindi lo segnalo), se proveremo a interagire con il poliziotto mentre sta letteralmente atterrando e ammanettando nostra moglie, sentiremo la voce del buon James McAvoy esclamare un sorpreso ma non troppo allarmato “Sir?” a ripetizione, impedendoci a conti fatti di provare ad interferire in alcun modo, che sia tirando un cazzotto allo sconosciuto o semplicemente provando a parlarci.
 
Inoltre, ci sono alcuni problemi di gestione dei dialoghi, che rischiano di rompere l’atmosfera creando alle volte delle interazioni al limite del surreale, con personaggi che passano dal gioviale all’arrabbiato o viceversa nel giro di un secondo. Come ho già detto prima, non sono troppo frequenti e non rovinano l’atmosfera di gioco, ed essendo il titolo a così basso budget sono delle sbavature tranquillamente perdonabili (visto che ci sono titoli con molto più budget alle spalle ma che sanno fare di ben peggio, vero Assassin’s Creed?). Ma sono dei difetti che si fanno sentire in un titolo che fa dell’immersività e la creazione di un’atmosfera tesa il suo forte, e quindi seppur non game-breaking è giusto segnalarli.
 
Per finire, voglio togliere dubbi a chi ha paura che il gioco, basandosi su un loop temporale costante e che quindi fa della ripetitività la sua base ludica, possa venire a noia molto velocemente e possa risultare frustrante e tedioso. A parer mio, questo pericolo non sussiste. Certo, sicuramente se ad approcciarvisi sarà un giocatore che non ha un’affinità particolare per i punta e clicca o che inizia a non sopportare più un gioco alla seconda ripetizione sicuramente non troverà l’esperienza gradevole, ma il titolo è ben costruito a livello di tensione ed incuriosisce abbastanza da far venire voglia al giocatore di fermarsi a spulciare per un loop in più, solo per poi vederlo trasformarsi il molti “ultimi loop prima di chiudere”. Inoltre, tolti i primi loop di totale spaesamento, in seguito la progressione e la raccolta di nuove informazioni diventano gradualmente sempre più costanti, e a ogni ripetizione potremo ottenere dettagli nuovi o tentare nuove strategie, e a meno che non si rimanga bloccati in qualche passaggio (cosa che non credo succeda spesso, essendo tutto abbastanza intuitivo nel momento in cui si capisce come funziona) il gioco è tranquillamente finibile in un pomeriggio, offrendo un’esperienza di qualche ora che può essere allungata un po’ nel caso in cui si voglia ottenere un altro finale (sì, ci sono tre finali che ci porteranno a vedere i titoli di coda: ma li discuterò nella sezione spoiler, ovviamente).
Una situazione che vedremo ripetersi più volte, noi immobilizzati dal poliziotto
III- COMPARTO TECNICO E ARTISTICO
 
Trovo giusto spendere qualche riga per parlare di com’è il gioco a livello audio e video, sia dal punto di vista tecnico che da un punto di vista meramente estetico.
 
Tecnicamente, com’è facile immaginare, ci sono delle limitazioni: la grafica, anche grazie alla scelta di una veste estetica molto semplice, è ben curata e non presenta sbavature particolari, che però sono presenti in massa nelle animazioni dei personaggi. Legnosi ed innaturali è un eufemismo. Tutti i personaggi, nessuno escluso, sembrano dei burattini di legno, e ad aggiungere al danno la beffa qualche compenetrazione di troppo nel momento in cui interagiranno tra di loro o con gli oggetti presenti nell’ambiente. Grazie al cielo però ci viene in soccorso la telecamera isometrica, che ci impedisce di vedere i volti e le espressioni facciali dei nostri beniamini: bastano gli sprazzi che se ne possono scorgere in seguito ad alcune specifiche interazioni per capire che non sarebbe stata una bella vista.
Il comparto audio è invece più pulito, con tutte le voci registrate in modo chiaro e omogeneo, cosa che ci permetterà di godere delle interpretazioni degli attori e di tutte le sfumature che doneranno ai loro personaggi (ci sono un paio di momenti di disperazione di marito e moglie, o di rabbia del poliziotto che… wow, semplicemente wow). A tratti problematico come accennato in precedenza è invece il “montaggio” delle frasi, più che altro di quando si cerca di interagire con un personaggio mentre quello sta parlando: il risultato sarà uno stacco nettissimo dalla conversazione seguito da un breve dialogo eseguito con tono completamente diverso da quello precedente, oppure il già citato totalmente fuori contesto e comico “Sir?”.
A sopperire però a molti di questi difetti tecnici e a rendere l’esperienza davvero incredibile per quasi tutta la sua durata è il comparto artistico. La grafica è sì molto semplice e con le animazioni mal gestite, ma la realizzazione estetica è ottima: i colori sono ben utilizzati, riuscendo ad esprimere l’apparente calore di casa nostra, il luogo che dovrebbe essere per noi il più sicuro al mondo, oppure il suo lato più inquietante a luci spente, con pioggia e tuoni che ci fanno da sottofondo. A questo si aggiunge l’utilizzo dell’illuminazione, con colori ben selezionati a giustapposti in modo impeccabile. Un esempio può essere la vista della camera da letto con la luce spenta, dalla cui finestra filtrano delle luci al neon e ogni tanto il lampo di un fulmine, rendendo eventuali scene che avverranno lì davvero atmosferiche e pesanti.
 
Ma la ciliegina sulla torta e il punto forte del titolo sono senza ombra di dubbio le musiche: basta sentire il valzer che accompagna i titoli di testa per capire che ci troviamo ad un livello compositivo altissimo, con un totale di 13 tracce composte da Neil Bones che accompagnano lo svolgersi degli eventi in maniera impeccabile, aiutando a creare l’atmosfera di tutto quello che sta succedendo e stando di sfondo ai momenti più tesi e crudi o ai dialoghi più “a cuore aperto”. I pezzi di rado concedono riposo dalla costante tensione che esondano, e anche quando lo fanno lasciano spazio non a sollievo, ma ad amarezza, rassegnazione, malinconia, nostalgia (e forse non a caso è stato scelto di utilizzare così spesso ritmiche che richiamano appunto il valzer). Ad aiutare poi l’utilizzo di pezzi con licenza all’interno del gioco, tra i quali sottolineo il meraviglioso tango argentino “Por Una Cabeza” di Carlos Gardel, che sarà un tema ricorrente nella storia e che avrà un’importanza particolare per la nostra coppia di protagonisti.
 
Finisce qua la parte senza spoiler dell’articolo, saluto quindi tutti coloro che si trovano qui per avere qualche dettaglio in più che li aiuti a scegliere se comprarlo o meno. Chiunque se ne vada, vi lascio con la ripresa di un concetto già espresso all’inizio dell’articolo: per moltissimi, il problema del titolo è stato il finale, ed il finale indubbiamente è un problema. Se siete quel tipo di persone che considera rovinata e sminuita in toto un’opera a causa del suo finale (ed in questo caso è anche abbastanza importante, dato che tutto si basa sullo scoprire cosa sia davvero successo), vi troverete probabilmente ad essere molto frustrati, a meno che non siate degli amanti di finali esagerati e al servizio dello shock value (ed ehi, ce ne sono: insomma, come abbiamo detto Hideo Kojima è uno di quelli che hanno amato in toto Twelve Minutes, quindi nel caso non sentitevi troppo delle capre). Oppure potreste essere come me, e cercare di capire che cosa Luis Antonio volesse dirci con quel finale così controverso, e riconoscere che dietro ci sono anche delle buone idee, ma purtroppo non eseguite benissimo.
 Per i curiosi o chi ha già giocato il titolo, continuiamo l’articolo parlando finalmente del punto cardine di Twelve Minutes: la sua storia.
Un esempio di scelta durante il gioco, ovviamente ognuna produrrà un effetto diverso
 
IV- TRAMA E NARRAZIONE
 
Partiamo dall’inizio: bilocale, marito e moglie, la moglie rivela di essere incinta e il dialogo successivo viene interrotto dall’intrusione violenta di un poliziotto in casa. Una volta dentro, il poliziotto immediatamente si mostra aggressivo, ci atterra, ci lega le mani e inizia ad “interrogare” nostra moglie. La accusa di aver ucciso il suo stesso padre otto anni prima, alla Vigilia di Natale, e poi insiste sul fatto che lei abbia un orologio, e che deve dirgli dove lo sta nascondendo.
 
Finito il primissimo loop introduttivo, ci troveremo quindi a spostarci ed interagire nell’ambiente in vari modi, cercando di trovare la chiave che possa farci capire che cosa sta succedendo. Potremo seguire molte strade, di cui alcune saranno giuste, alcune sbagliate, alcune dolorose: un esempio può essere cercare di capire se effettivamente la moglie abbia commesso l’omicidio di cui è accusata. È logico che per scoprirlo avremo bisogno di parlare direttamente con lei, ma non potremo andare lì a chiederle a muso duro “ehi, lo so che mi hai detto che tuo padre è morto per un attacco di cuore, ma un tizio violento ha detto in un passato loop che tu l’hai ucciso, quindi: hai ammazzato tuo padre?”. O meglio, possiamo farlo, ma giustamente lei ci risponderà in modo irritato e ci manderà a quel paese, rifiutandosi poi di sbottonarsi e di permetterci interazioni che prima avremmo potuto ottenere.
 
Potremmo allora utilizzare le informazioni che possiede il poliziotto per metterla alle strette, e quindi portarla eventualmente a confessare. Per farlo, dovremo giungere ad ingannare il poliziotto in modo da renderlo inerme e poi interrogarlo a nostra volta. L’esplorazione ci premierà e ci offrirà spunti interessanti: se siamo stati attenti, sapremo che l’interruttore della camera da letto è rotto e che dà la scossa ogni volta che lo si accende, e soprattutto sapremo che nella serata in cui si svolge la storia, alla seconda accensione si “frigge” completamente, dando alla persona che lo ha toccato una scossa tale da fargli perdere i sensi (lo scopriremo ai danni nostri o della nostra povera moglie). Quindi: dobbiamo trovare il modo di far interagire il poliziotto con quel maledetto interruttore. Per farlo dobbiamo portarlo ad entrare nella camera da letto. Come fare? Ai danni della povera moglie, che dopo un po’ diventerà praticamente il punchball del giocatore nei suoi esperimenti: in bagno troveremo infatti dei sonniferi, e avendo notato nei loop precedenti che dopo il nostro ritorno a casa nostra moglie avrà sete a breve, potremo ingannarla e nascondere con il gesto dolce del portarle una tazza d’acqua il fatto che in realtà la stiamo imbottendo di sonniferi. A quel punto lei, stanca, si dirigerà in camera da letto, e letteralmente sverrà sul materasso. Così ci basterà accendere e spegnere una volta l’interruttore, per poi nasconderci nell’armadio presente in salotto e aspettare il poliziotto. Così facendo, quando lui entrerà sfondando la porta non troverà nessuno, ma vedrà molto in fretta la moglie accasciata sul letto. Questo lo porterà ad entrare ed accendere la luce per controllare, e così perderà i sensi per qualche secondo. Dovremo essere rapidi: sottrargli le fascette che tiene in tasca per legarlo e immobilizzarlo, e già che ci siamo rubargli anche le armi e soprattutto il cellulare, che sarà fondamentale per scoprire che lui ha una figlia malata di cancro e per ottenere il numero di suddetta figlia per poterla chiamare in un loop normale. Una volta immobilizzato il poliziotto, quando si sveglierà potremo interrogarlo. Lui si mostrerà ancora molto ostile, ma ci darà un nuovo dettaglio se gli chiederemo perché sta accusando nostra moglie: ci dirà che tutte le prove puntano verso di lei, che lui sa che la vigilia di Natale ha sparato a suo padre, che però non è morto, e che quando ha scoperto di non averlo ucciso è tornata da lui alla vigilia di Capodanno per finire il lavoro. E lui la vuole trovare per un motivo personale: era infatti molto legato al padre della ragazza, lo definisce suo mentore e l’uomo che gli ha insegnato tutto ciò che sa. In più, c’è l’orologio. Perché gli interessa così tanto l’orologio? Ce lo dirà: soldi. Quell’orologio vale un sacco, e a lui servono i soldi per pagare le cure della figlia, che altrimenti morirà di cancro. E l’orologio è anche il modo in cui lui ha scoperto dove abitiamo: ha rintracciato nostra moglie vedendo che aveva cercato di vendere l’orologio ad un’asta, solo per poi ritirarlo.
Otterremo tutte queste informazioni dal poliziotto inerme, ma non senza un prezzo da pagare. Lui infatti finché sarà in salute sarà aggressivo, ostile. Ma c’è un modo per ammorbidirgli la lingua: tortura. A quel punto noi avremo diverse armi: il nostro coltello da cucina, il pugnale che lui ha nelle tasche o la sua pistola. Questo vuol dire che potremo accoltellarlo o sparargli ad una gamba, e la paura di morire lo porterà ad essere più sincero con noi, e a darci più informazioni per il prossimo loop. Questa una delle scene particolarmente pesanti di cui parlavo nel content warning iniziale: è una tortura perpetrata da qualcuno che di tortura non sa niente. Quindi è esitante, pesante, e fa sentire non poco in colpa, nonostante la nostra vittima sia stata fino ad ora carnefice.
E nella predisposizione alla violenza del nostro protagonista si vede l’attenzione ai dettagli pazzesca che può presentare il titolo: che sia un tentativo di buttarlo a terra o colpirlo mentre lui atterra nostra moglie o il torturarlo quando è inerme, ad ogni loop il nostro protagonista sarà sempre più abile.
Interrogare il poliziotto richiederà al nostro personaggio di avere una certa determinazione
Se la prima volta che cerchiamo di resistere alla violenza del poliziotto verremo stesi con un semplice pugno, qualche tentativo dopo ci troveremo a riuscire addirittura a colpirlo, solo per ovviamente poi venire comunque sopraffatti dalla sua maggior prestanza fisica (tra l’altro, la scena di combattimento dopo qualche tentativo che risulta dal nostro aver preso in precedenza il coltello della cucina è davvero brutale: tra il nostro riuscire a pugnalarlo allo stomaco e il suo riuscire a spararci e ucciderci, è la scena con più sanguinolenta del titolo, e vederla con in sottofondo le grida disperate della moglie è pesante).
Così avremo più informazioni, e potremo parlare con nostra moglie con più dati dalla nostra parte. Riuscendo a dimostrarle che effettivamente stiamo vivendo un loop temporale (mostrandole che sappiamo cose che non possiamo sapere, come ad esempio della sua gravidanza) e spiegandole le dinamiche dell’omicidio che ci ha descritto il poliziotto, lei finalmente deciderà di essere sincera e confessare tutto. Lei ha effettivamente ucciso suo padre. Avevano pessimi rapporti: lui si era sentito ignorato da sua moglie dopo la nascita della figlia, e ha iniziato ad andare a letto con la sua tata. Da questo rapporto ne era uscita una gravidanza, con la madre di nostra moglie che ha passato il resto dei suoi giorni (sappiamo che è morta da diverso tempo) a disprezzare il marito. Anche la figlia quindi non aveva comprensibilmente un buon rapporto con il padre: passavano le loro giornate a punzecchiarsi e litigare, e il tutto ha raggiunto il suo apice alla vigilia di Natale di otto anni fa. Lei stava cercando di uscire di nascosto di casa, e lui l’ha beccata. Hanno iniziato a litigare come al solito, con una differenza: il padre è diventato violento, e in preda all’ira ha iniziato a picchiarla. “Ho visto rosso”, ci dice a quel punto nostra moglie mentre racconta il tutto: ha approfittato del fatto che il padre avesse sempre un’arma da qualche parte e gli ha sparato. A quel punto si è resa conto di quello che aveva fatto, ed è scappata lasciandolo a morire. E l’orologio? Era lì, valeva tanto, e in preda al panico l’ho preso, ci dice lei. E ha provato a venderlo qualche giorno fa per avere soldi per crescere il bambino. Al momento è nascosto nella ventola di aereazione sotto il mobiletto del bagno.
L'orologio al centro della vicenda
Ora, prima di procedere voglio sottolineare che ci sono vari modi di giungere alla stessa conclusione: questo è il metodo forse più comune ed istintivo per scoprire dove si trovi l’orologio, ma nelle mie run di studio successive alla prima ne ho trovato almeno un altro, e non è piacevole. Ci basterà, all’inizio di un loop, nasconderci SUBITO nell’armadio senza farci vedere da nostra moglie. A quel punto, le vicende procederanno senza di noi: il poliziotto arriverà lo stesso, e farà irruzione in casa, immobilizzando nostra moglie. Lei sarà sincera non avendo la nostra presenza a spingerla a nascondere la verità fino all’ultimo, ma non prima di metterci davanti ad un’altra scena particolarmente pesante: il poliziotto non si fa particolari problemi ad usare la violenza, e non se li farà nemmeno qui. Inizierà a prenderla a calci brutalmente per farla parlare, e una volta che lei, disperata, gli confesserà dove si trova l’orologio, non si fermerà lì: assisteremo impotenti all’omicidio di nostra moglie, con lo sconosciuto che le spara in testa e poi dispone il corpo con la pistola in mano, per far pensare ad un suicidio. Il gioco sa come far sentire il giocatore un subumano durante queste scelte.
Ma torniamo a noi: a prescindere dal modo, scopriamo che nostra moglie ha ucciso suo padre alla vigilia di Natale, e sappiamo dove tiene l’orologio. Ma qualcosa non torna. Il poliziotto ci ha detto che il padre non è morto alla vigilia di Natale, ma che è sopravvissuto. È stato ucciso per davvero alla vigilia di Capodanno. Però non può essere stata nostra moglie: la vigilia del Capodanno di otto anni fa è infatti la serata in cui l’abbiamo conosciuta, e noi ci troviamo a centinaia di miglia di distanza dalla città natale di lei. E abbiamo una polaroid scattata in quella sera per dimostrarlo! Adesso la nostra concentrazione è tutta sul riuscire a far capire al poliziotto che nostra moglie non l’ha ucciso: dobbiamo convincerlo ad ascoltarci e guardare la polaroid. Per farlo dovremo prima di tutto informare anche nostra moglie, facendole capire che lei è innocente (per l’omicidio, ma comunque non è uno stinco di santo) e informandola che a breve arriverà un poliziotto ad accusarla, che dovremo convincerlo. Il punto è che abbiamo visto che non è particolarmente propenso all’ascolto. Come fare? La chiave è sua figlia. “Le uniche persone a cui devo dare ascolto sono mia madre e mia figlia, e mia madre è morta”, dirà il poliziotto la prima volta che cercheremo di dirgli la nostra versione della storia.
Anche uccidere l'intruso non servirà a porre fine al gioco
Quindi, nel loop successivo dovremo usare il cellulare che troveremo nei vestiti appesi nell’armadio per chiamare il numero della figlia: a quel punto le spiegheremo rapidamente la situazione, dicendole che suo padre sta accusando nostra moglie di omicidio e le farà del male, e che non vuole ascoltarci. Lei, turbata dalla cosa, ci ascolterà, e ci dirà che chiamerà suo padre, a patto che noi non la disturbiamo più ed eliminiamo il suo numero. Allora lo chiamerà, e potremo sentire la conversazione non appena lui sarà sul pianerottolo di casa nostra. La conversazione con la figlia lo convincerà a darci una possibilità, e vedendo la polaroid si renderà conto di essersi sbagliato: si scuserà con nostra moglie, e spiegherà che sta facendo tutto questo per ottenere i soldi per sua figlia. Una scusa, quindi: teneva a suo padre e la sua morte l’ha distrutto, sì, ma sta usando quella rabbia come leva per compiere un furto che gli frutterà tutto il denaro di cui ha bisogno.
Piccolo appunto: alcuni potrebbero dire che il fatto che effettivamente la figlia lo chiami e lo convinca sia una forzatura di trama notevole. Ma secondo me non lo è poi così tanto. Mettiamoci nei panni di una ragazzina adolescente, malata, che riceve una telefonata in cui un uomo nel panico le dice che suo padre vuole fare del male a sua moglie: è un evento che sicuramente la turberà. E ora, non so voi, ma se io ricevessi una telefonata del genere lo riferirei subito a mio padre: non tanto perché creda alle parole dello sconosciuto, ma perché “papà, un tipo strano ha il mio numero e mi ha chiamato per dirmi delle cose assurde”. Il fatto che quindi lei lo chiami e gliene parli non è minimamente una forzatura a parer mio: e nemmeno lo è il fatto che il poliziotto (che a questo punto sappiamo non essere un poliziotto ma solo un uomo che cerca vendetta) in seguito alla conversazione ci stia ad ascoltare. La persona per cui sta per compiere questi atti orribili l’ha appena chiamato, e si è mostrata preoccupata: e lui non è un mostro, sa che sta facendo una cosa terrificante e sa che lei non glielo perdonerebbe mai. È il senso di colpa che lo convince a darci un’unica opportunità di spiegarci: sa di stare facendo per la figlia una cosa che la figlia non accetterebbe mai, quindi se può evitare di arrivare fino in fondo, lo farà.
Detto questo, quindi la trama è finita? No, perché ancora non sappiamo chi abbia ucciso il padre di nostra moglie. L’unico dettaglio che abbiamo è quello che ci dà lo sconosciuto, che ci dice che quando l’ha trovato in fin di vita, il padre continuava a ripetere “mostro”. A questo punto, l’illuminazione di nostra moglie: “mostro” è il modo in cui sua madre chiamava il figlio illegittimo del marito e della tata, che dopo averlo partorito è morta di parto. Ad uccidere il padre, a “finire il lavoro” iniziato da nostra moglie, quindi, il suo fratellastro che lei non ha mai conosciuto e né desiderato conoscere. Ma come fare a trovarlo? L’unico dettaglio che ci viene dato è proprio dallo sconosciuto, che non l’ha mai visto, ma sa solo che la tata aveva un nome riguardante “qualcosa di floreale”. A questo punto, la rivelazione finale, l’illuminazione del protagonista, e il colpo di scena davvero tirato. Nostra moglie infatti ci ha confessato nel primo loop di esser incinta facendoci un regalo, un pigiamino da bambino. Sopra di esso il nome con cui vorrebbe chiamarla se fosse femmina: Dhalia, il nome di nostra madre morta di parto.
Quindi siamo noi il fratellastro di nostra moglie, e siamo noi ad aver ucciso il nostro padre comune. Tralasciando i vari buchi di trama che questo crea (ne parleremo dopo), andiamo avanti. La chiave per procedere è l’orologio, che adesso ha le lancette che continuano a scorrere in modo veloce e disordinato. Fissandolo per qualche secondo, veniamo catapultati in un'altra stanza, probabilmente in un ricordo. Ci troviamo otto anni prima delle vicende del gioco, e siamo nello studio di nostro padre, temporalmente 2 minuti prima delle 12 a cui inizia ogni loop (ecco quindi i 2 minuti che mancavano per raggiungere i “12 minuti” del titolo). Lui sta cercando di convincerci del fatto che dobbiamo abbandonare l’idea di avere una relazione con quella che durante il gioco è nostra moglie, perché ovviamente è la nostra sorellastra, e la situazione potrebbe solo portare a del dolore. Soprattutto per lei, che scoprirebbe che l’uomo che ama è il bambino che ha rovinato la salute mentale di sua madre e della sua famiglia. È in questa stanza che potremo raggiungere i 3 finali che ci porteranno ai titoli di coda.
Lo studio del padre, dove ci ritroveremo a fine partita
Alone: i primi titoli di coda li otterremo durante il dialogo con nostro padre, nel caso in cui gli rispondessimo che ha ragione. Di conseguenza smetteremo semplicemente di frequentare la nostra compagna, senza nemmeno darle una spiegazione, facendola soffrire e decidendo di vivere una vita senza l’amore della nostra vita.
Continue: è un finale che prende luogo subito dopo il primo finale che ho descritto. Dopo i primi titoli di coda infatti ci troveremo non a ricominciare il gioco da zero, ma potremo accedere nuovamente al nostro appartamento. Questa volta, però, l’appartamento è completamente vuoto. L’unico oggetto ancora presente è proprio l’orologio, ancora nella ventola di aereazione. Prendendolo e guardandolo, ci troveremo di nuovo nello studio di nostro padre. Qui dovremo interagire con il libro dietro di noi: è lo stesso che nostra moglie leggeva durante i vari loop, e vedendolo ci ricorderemo una citazione, che riguarda la capacità di dimenticare, e le nuove possibilità che ci dà il dimenticare eventi del passato. A questo punto nostro padre, colpito dal fatto che conosciamo il libro, ci farà una proposta: ha un modo di farci dimenticare tutto, compreso il fatto che ci siamo innamorati di quella che è a conti fatti nostra sorella. Non interrompendo in alcun modo il dialogo, nostro padre proseguirà con il suo discorso e poi effettuerà effettivamente su di noi una procedura che sembra essere di ipnosi. A questo punto, i titoli di coda iniziano di nuovo a scorrere, e ci troveremo a dover ricominciare tutto da capo.
Mindfulness: durante un loop, andare in bagno e interagire di nuovo con l’orologio, per andare nello studio di nostro padre. Una volta lì, dovremo ascoltarlo parlare non facendo nulla finché lui non ci dirà “di’ qualcosa”. A quel punto, dovremo interagire sempre con il libro di cui sopra. Subito dopo dovremo fissare l’orologio davanti a noi, lo stesso rubato da nostra moglie durante il gioco, e aspettare finché non segnerà le 12 in punto. Nostro padre ricomincerà a parlare, dicendoci che dobbiamo arrenderci al fatto che non potremo proseguire la nostra storia di amore e che dobbiamo andare avanti con la nostra vita, e di nuovo i titoli di coda inizieranno a scorrere.
V-PROBLEMI E TEORIE
 
Lo so cosa state pensando. State pensando: “Ma che porcheria ho appena letto?”. E sì, non vi biasimo, è stata anche la mia reazione arrivando al finale del titolo. E non tanto perché si è scaduti nel cliché del “oh mio Dio, ho commesso incesto senza saperlo”, ma perché la rivelazione finale causa TANTI problemi a tutta la storia. Prima di tutto: davvero noi abbiamo dimenticato di aver ucciso nostro padre e sposato nostra sorella, in questa tragedia dal sapore edipico? Sì, ed onestamente questo è il problema minore del plot twist finale. Perché, purtroppo, anche nel nostro mondo reale esiste una cosa chiamata Amnesia Dissociativa Localizzata: questo vuol dire che può succedere ad una persona che si trova coinvolta in un evento particolarmente traumatico di dimenticare completamente quel trauma, per quanto ovviamente esso continuerà ad influenzare la sua vita con effetti negativi anche inconsci, nei casi più gravi arrivando al PTSD. Quindi sì, è possibile che il nostro protagonista abbia totalmente dimenticato questo evento traumatico della sua vita, anche perché ci viene mostrato nei dialoghi con il padre che non portano ad un finale, che l’omicidio è stato colposo, il quanto il protagonista ha per sbaglio sparato al padre dopo che lui l’aveva assalito armato, dopo aver sentito che non aveva intenzione di porre fine alla relazione incestuosa.
Il pigiama che conduce al colpo di scena finale
Il problema principale e che mi ha davvero infastidita è un altro: se la polaroid era un alibi perfetto per nostra moglie, perché non lo è anche per noi, che l’abbiamo conosciuta quella sera? E poi, se l’abbiamo conosciuta quella sera, come abbiamo fatto ad avere quel dialogo con nostro padre su una relazione che non era nemmeno iniziata? E ulteriormente, perché nostro padre è sempre doppiato da Willem Defoe, voce del poliziotto, ed in uno dei “flashback” nello studio non ha i capelli, apparendo identico al suddetto poliziotto?
Il mio primo pensiero, non lo nego, è stato “non sono riusciti nel loro intento, hanno fatto la cazzata” (concedetemi il francesismo). Ma il fatto che fino alla rivelazione finale io abbia amato alla follia il gioco e mi sia sentita catturata intensamente dalla vicenda, mi ha portato a fare qualche run in più, cercando di capire se ci fossero dei dettagli che non avevo colto. E… ci sono. Ci sono dei dettagli che potrebbero spiegare tutte queste incongruenze. Partiamo dall’inizio.
Il gioco inizia con i titoli di testa, e questi titoli di testa rappresentano l’orologio appeso alla parete dello studio del padre. È da quell’immagine fissa che passiamo al gioco, e ai loop. Ed è fissando l’orologio in game che andremo allo studio, uscendo dai loop, figurandoci pian piano l’orologio nello studio. Ergo, il mio pensiero è stato uno: i loop non sono la realtà. La realtà è lo studio, è il nostro dialogo con nostro padre. I loop, l’appartamento, nostra moglie incinta, il poliziotto, sono frutto della nostra immaginazione, forse un nostro modo di immaginarci che cosa potrebbe succedere se non abbandonassimo la relazione con nostra sorella. Tutto questo è suggerito anche da una serie di altri dettagli presenti nei loop: in primis, appunto, la polaroid che prova l’innocenza di nostra moglie. È una nostra costruzione, un nostro modo di immaginare la cosa. Tant’è che (cosa che non avevo minimamente notato nella prima run), di polaroid ne vedremo tre: in certi punti della storia la polaroid cambierà, con nostra moglie che indossa abiti diversi. Quindi potrebbe tranquillamente essere una nostra costruzione mentale, e per questo anche instabile e mutevole.
 
Poi, passiamo al poliziotto: sia nell’aspetto fisico che nella voce, la stessa, è nostro padre. Non è per motivi di budget: se si sono potuti permettere questi attori e una doppiatrice in più per la figlia del poliziotto, avrebbero potuto prendere un doppiatore a caso per il padre. Ma non l’hanno fatto. Perché? Perché i loop, appunto, sono una proiezione mentale del protagonista: il poliziotto rappresenta (figurativamente e letteralmente) il ricordo del padre che tornerebbe a tormentarlo se dovesse proseguire la relazione, facendoci anche credere che forse il nostro protagonista stia pensando di uccidere il padre in modo da non averlo più in mezzo ai piedi. Ci stiamo semplicemente figurando tutti i problemi e le difficoltà cui ci troveremmo davanti se decidessimo di sbarazzarci di nostro padre per stare in pace e proseguire la relazione con nostra sorella: il passato, prima o poi, tornerebbe a chiedere il riscatto.
 
Ecco perché ci sono delle incongruenze: siamo nella mente di una persona che si sta trovando in una situazione terribile da vivere, e che si sta immaginando una realtà non perfettamente congruente alla vita vera, nel tentativo di trovare una possibilità di riuscire a superare la questione e ottenere quello che vuole, una vita felice con la compagna.
 
A sottolineare la natura puramente mentale dei loop sono anche i quadri che vedremo solo una volta durante le varie run, ossia nel corridoio che ci porta ad accedere al nostro appartamento: subito fuori dall’ascensore, infatti, sulle pareti si trovano due quadri. Uno è una Dalia, fiore presente anche sul pigiamino per la nostra futura figlia e nome di nostra madre, l’altro è una libreria monocromatica in cui spicca un libro rosso, colore del libro che attira la nostra attenzione nello studio di nostro padre e con cui potremo interagire per raggiungere due dei tre finali.
 
Tutto quello che viviamo, quindi, è una sorta di palazzo mentale del nostro protagonista. Ed anzi, forse è una costruzione che si fa in un momento di ipnosi: ogni volta che ci troveremo nello studio con nostro padre, infatti, il nostro personaggio apparirà essersi appena svegliato o riattivato dopo un torpore, e nostro padre ci accoglierà con un “ehi, eccolo qui… sei tornato?”. Il finale Continue ci fa vedere che nostro padre effettivamente sa praticare ipnosi o qualcosa di simile, quindi il gioco potrebbe essere strutturato in questo modo: i titoli di testa sono in prima persona, e ci mettono nei panni del protagonista che sta fissando l’orologio sulla parete dello studio per essere “ipnotizzato” dal padre. Tutto quello che facciamo nel bilocale è il contenuto di questa ipnosi, forse un modo del padre di fargli vedere “praticamente” che la scelta di continuare a frequentare la sorella può portare solo a una disgrazia dopo l’altra. Infine, il ritorno allo studio, alla realtà dopo che anche nel mondo mentale il protagonista capisce che non c’è una via di uscita effettiva dalla situazione orribile in cui si trova.
 
Come ben sappiamo, il “è tutto un sogno/tutto nell’immaginazione del protagonista” non è un topos narrativo particolarmente apprezzato, e a buona ragione: può essere realizzato in modo interessante se sfruttato bene, ma spesso non lo è, ed è un modo dell’autore di mettere una pezza a dei buchi di sceneggiatura. Credo che il caso di Twelve Minutes sia una via di mezzo: non penso che le incoerenze siano degli errori di cui Luis Antonio si è accorto troppo tardi e a cui ha cercato di mettere maldestramente una pezza, ma al contempo non credo che sia riuscito nell’intento di rendere chiara la condizione del protagonista. Ci sono sì dei dettagli che lo fanno pensare, ma non sono abbastanza per convincere il giocatore, che invece istintivamente si sentirà tradito e deluso dal plot twist finale e probabilmente non vorrà più avere nulla a che fare con il gioco.
L'orologio potrebbe aver un significato molto meno scontato di quanto si possa immaginare
Twelve Minutes è quindi un gioco con i suoi limiti tecnici dati dal budget ridotto e con un finale confusionario e non chiaro, ma con una base incredibilmente solida: la costruzione di dialoghi, interazioni, possibilità, atmosfera e tensione è ottima, così come lo è il comparto artistico, sottofondo musicale particolarmente. Non si può quindi che sperare che Luis Antonio in futuro ci presenti un progetto più rifinito, con magari uno studio più grande ad accompagnarlo e un budget superiore, perché sono sicura che quest’autore emergente, nonostante la caduta di stile finale, abbia veramente un grandissimo potenziale da offrire.
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