Stray - VisiThors

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Negli ultimi cinque anni, lo studio di produzione Annapurna Interactive è stato una vera e propria manna dal cielo per gli amanti dei videogiochi, una ventata di aria fresca che ha permesso di immettere sul mercato diversi titoli indie unici e che sono diventati delle piccole perle o in alcuni casi dei veri e propri cult. A partire dal capolavoro che è What Remains of Edith Finch per passare dalla delicatezza di Gone Home fino ad arrivare a Neon White, che negli ultimi mesi ha fatto strage di cuori fra critica e pubblico, la loro ultima produzione ha fatto il suo debutto nel 2020 durante il Future of Gaming di Sony, evento in cui è stato annunciato appunto Stray, sviluppato da BlueTwelveStudio. L’adorabile trailer che vedeva come protagonista un gattino che si muoveva nelle strade cyberpunk di una città popolata da robot si è concretizzato in un gioco lo scorso 19 luglio, uscito per PC ed esclusiva console Playstation (4 e 5), divenendo anche il primo titolo reso disponibile al day one nel nuovo abbonamento Playstation Plus.
Fra persone che l’hanno definito un piccolo capolavoro e altri che invece sostengono sia un titolo poco ispirato e terribilmente noioso, dopo averlo recuperato (spinta, non lo nego, principalmente dalla presenza di un micio come protagonista) posso dire di trovarmi in una via di mezzo: Stray è indubbiamente un titolo non per tutti -affermazione non da intendersi nel suo senso più snob e fastidioso ma come un semplice dato di fatto causato dalla natura del gioco, che mi ha ricordato più un’avventura grafica in tre dimensioni che altro-, ma quello che vuole fare lo fa bene. Le poche ore di gioco (io ne ho impiegate circa 8, ma sono sicura possa essere concluso anche in meno se non ci si perde nell’esplorazione e nel tentativo di completismo come me) che offre sono guidate e consentono poca libertà, ma permettono di muoversi in un ambiente costruito con un’attenzione ai dettagli sorprendente, destreggiandosi fra qualche enigma più riuscito di altri ed in generale un’esperienza che riesce a non annoiare gli interessati al genere, offrendo anche delle sincere sorprese a livello tecnico ed artistico oltre che di ambientazione e lore (non avrei mai pensato di dirlo, ma è così).
Detto questo, è il momento di iniziare ad entrare nel vivo della recensione che, come al solito, avrà solo più avanti una parte spoiler che verrà preannunciata, quindi chi non l’abbia ancora giocato può stare tranquillo.
L’INIZIO
I primi passi cuscinettosi vengono mossi in una piccola colonia felina di quattro randagi, noi compresi, che vivono e scorrazzano in una zona ex industriale abbandonata ed in disuso, con tubi arrugginiti e la natura che ha preso il sopravvento. Nella breve passeggiata con i nostri compagni felini avremo modo di iniziare a vivere le nostre prime interazioni con il mondo di gioco, quali il bere da una pozzanghera o decidere di farci le unghie da qualche parte (gesto per cui il feedback aptico del Dualsense è stato sorprendentemente integrato con risultati di grande soddisfazione). Dopo aver vagato per un po’ a furia di miagolii -sì, il miagolio è libero, e chi non l’ha utilizzato costantemente sta mentendo-, il nostro micio si ritroverà a saltare da un tubo instabile come ultimo del gruppo, finendo per precipitare di sotto venendo separato dagli altri.
A questo punto ci accoglie la schermata del capitolo due, chiamato la Città Morta, in cui il gatto protagonista si ritrova in un luogo sotterraneo decadente e deserto alla ricerca di una via di uscita. Le uniche creature in cui ci imbatteremo saranno dei piccoli globi giallognoli molto aggressivi che inizieranno a saltellare per raggiungerci e sopraffarci, a cui dovremo sfuggire con il nostro primo inseguimento.
Dopo esserci salvati dalle creature, troviamo un rifugio in un appartamento disabitato, in cui ci ritroveremo ad affrontare il primo piccolo enigma del gioco. Risoltolo, scaricheremo un’intelligenza artificiale nel corpo di un robottino volante che ci si presenta come B-12, il quale ci racconta di aver perso tutte le sue memorie passate, se non l’informazione di essere stato l’assistente virtuale di uno scienziato.
Volendo trovare una via di uscita proprio come immagina desideriamo fare noi, B-12 ci offre il suo aiuto, donandoci un piccolo zainetto a mo’ di pettorina (lo stesso visibile nei trailer) che fungerà da nostro menu ed inventario.
A questo punto, finalmente si raggiunge la parte nel gioco che inizia a richiamare i trailer, dato che ci ritroviamo in una città cyberpunk sotterranea popolata da robot antropomorfi in cui dovremo esplorare, fare domande e risolvere enigmi nel tentativo di trovare un modo per tornare in superficie, miraggio che in queste strade sotterranee è chiamato l’Oltre.
GAMEPLAY
Come accennato in precedenza, il gameplay di Stray non è nulla di trascendentale, un’avventura “su binari” come se ne sono viste molte, guidata e con qualche momento di apertura della mappa che permette di vagare più liberamente e dedicarsi a qualche missione secondaria. Questo però non è da vedersi come un difetto del titolo, anzi, è esattamente quello che vuole offrire, e riesce ad offrirlo sorprendentemente bene per essere l’opera prima degli sviluppatori.
Negli ambienti potremo passeggiare, saltare in giro, interagire con i personaggi in cui ci imbatteremo e ovviamente risolvere enigmi o dedicarci al completismo, il tutto in quella che è un’ambientazione cyperpunk riprodotta con cura maniacale e che presenta alcuni scorci mozzafiato per il livello di dettaglio o di pura bellezza estetica.
La mobilità stessa è, in qualche modo, “guidata”: il salto infatti, azione che occuperà buona parte del nostro tempo, non è libero, ma ci verrà segnalato un appoggio su cui possiamo saltare con la comparsa di una X a schermo. Questi appoggi sono molti, riducendo veramente al minimo le istanze in cui il giocatore pensa “vorrei proprio saltare lì sopra” trovandosi poi a non riuscire a farlo, e devo dire che è stato sorprendente vedere la furbizia e l’abilità con cui gli sviluppatori si sono dedicati al rendere i luoghi non raggiungibili effettivamente non raggiungibili anche a livello pratico, riuscendo persino ad inserire quelli che a conti fatti sono dei veri e propri limiti dell’area in un modo armonioso e che non stona con l’ambiente circostante. La mancanza di un salto libero quindi, cosa che all’inizio può far storcere il naso, a conti fatti non viene percepita come un deficit o una limitazione dal giocatore, che alla fine non può semplicemente mettersi a saltare sul posto come un idiota come ogni tanto ci piace fare (e sarebbe stato esilarante vedere un gattino che saltella come un indemoniato).
Oltre al salto avremo la possibilità di correre con R2, cosa che ci permetterà di essere più rapidi nel backtracking o anche solo nella navigazione della mappa, oltre che dando così la possibilità di inserire delle sezioni di inseguimento come quella descritta in precedenza, in cui verremo braccati dagli Zurk (così scopriremo chiamarsi le pericolose creaturine). Gli inseguimenti con gli Zurk sono fra le poche sezioni in cui effettivamente si può perdere la vita, con le altre che sono delle semplici parti stealth in cui non dovremo essere individuati da alcuni droni di sorveglianza. In generale, però, morire sarà veramente raro, in quanto la difficoltà del titolo è tutto fuorché elevata. Per farvi capire l’antifona, vi è un trofeo che viene sbloccato dopo essere morti nove volte, e a gioco finito sono dovuta tornare in una sezione già fatta per morire a ripetizione per poterlo ottenere. Non trovo difficile credere che qualcuno di un po’ più attento di me quindi possa tranquillamente arrivare alla fine del gioco senza essere morto nemmeno una volta.
Il resto del gameplay mi ha ricordato terribilmente un’avventura grafica, anche nella presentazione (che ho trovato estremamente stilosa) dell’HUD, completamente assente finché non si accede al menu, inserito diegeticamente nel contesto di gioco come un ologramma prodotto da B-12. Quasi tutti gli enigmi consistono nel trovare l’oggetto giusto e portarlo nel luogo giusto, con l’inventario che ci permette di poter visualizzare gli oggetti in nostro possesso, esaminarli, farli esaminare da B-12 (azione che ci permette di avere un sostituto di una descrizione scritta dell’oggetto) ed infine che ci permetterà di utilizzarli per interagire con personaggi e situazioni.
Ogni volta che parliamo con uno dei robot (grazie alle capacità di traduzione di B-12, che ci farà da letterale interfaccia) B-12 ci mostrerà il nostro inventario, e potremo mostrare tutti gli oggetti posseduti a praticamente chiunque. Questo può risultare in un semplice rifiuto di interazione, in un indizio su quale sia la persona giusta con chi interagire o, ovviamente, la risoluzione di una missione o un passetto per arrivare alla sua conclusione. Oltre alla trama principale ci sono infatti alcune missioni secondarie, tutte molto semplici e simpatiche come aiutare un vecchio robot a reperire i materiali che le servono per tessere un bel poncho, o portare degli spartiti ad un robot chitarrista che non sa che cosa suonare.
Infine, ci sono due tipi di collezionabili in Stray: le Spille ed i Ricordi. Le Spille sono, appunto, delle semplici spille. Alcune ci verranno consegnate di trama, altre andranno invece scovate esplorando ogni angolo delle varie mappe, ed ognuna che troveremo sarà visibile sullo zainetto del nostro micio una volta ottenuta, consistendo in solo una piccola modifica estetica.
I Ricordi, invece, sono collezionabili molto più importanti, in quanto consistono in oggetti o viste che risveglieranno un ricordo in B-12. I più importanti, che hanno a che fare con la storia passata del nostro adorabile robottino, verranno ottenuti automaticamente proseguendo con la trama principale, ma tutti gli altri saranno da trovare esplorando, e saranno visibili a loro volta nell’inventario. La ricerca dei Ricordi è stata per me fondamentale: è stato impossibile proseguire da un capitolo all’altro prima di aver trovato tutti i Ricordi disponibili, e questo per due motivi. Il primo è, ovviamente, il puro gusto di completismo e di vedere che non manca niente nel menu; il secondo, più importante, è che danno informazioni sul mondo di gioco, offrendo dei piccoli squarci sulla lore che, sorprendentemente, esiste e promette di essere molto interessante, per quanto molto meno esplorata di quanto sperassi.
Per concludere per quanto riguarda il gameplay, quindi, Stray è un gioco che non offre innovazioni né una sfida memorabile, ma questo non lo rende un titolo che non merita di essere giocato -ammesso che si sia amanti del genere-. La longevità è perfetta, durando il giusto per non diventare ridondante e noioso (anche solo un’oretta di più e l’avrei iniziato a trovare stucchevole), ma ci sono comunque delle lamentele che devono essere fatte. Le sezioni stealth sono fortunatamente poche, e dico fortunatamente perché tutte sono davvero poco ispirate e banali, e i vari inseguimenti dopo un po’ perdono completamente la loro carica adrenalinica, proprio a causa della bassa difficoltà e dell’ottenimento, più avanti, di un oggetto che ci permetterà di contrastare gli Zurk, rendendoci un Terminator felino per quelle bestiole. Inoltre, mi è dispiaciuto non avere più enigmi veri e propri, in cui venga richiesto di pensare e ragionare a qualcosa di più rispetto al “so che mi serve questa cosa, in quale zona di questa area è logico che io possa trovarla?”.
Nonostante questi difetti, però, il titolo rimane valido, intrattenente e soprattutto divertente nella sua semplicità, offrendo continue interazioni in grado di strappare un sorriso, un’esplorazione che per quanto limitata dà le sue soddisfazioni e soprattutto una sorprendente attenzione ai dettagli che delizierà qualsiasi appassionato di cyberpunk.
COMPARTO TECNICO ED ARTISTICO
Iniziamo con l’unica vera lamentela che ho riguardo il comparto tecnico, che trovo incredibilmente ironica e non smetterà mai di farmi sorridere: il gatto è brutto. Il modello è strano, tenta di essere realistico ma senza riuscirci in modo convincente, scadendo in un effetto uncanny a cui mi sono abituata dopo diverso tempo, acuito da alcune animazioni non particolarmente realistiche al contrario di altre che invece sono più ben realizzate. La realizzazione degli animali per qualche motivo è quasi sempre un problema nel mondo videoludico (basti pensare ai molteplici obbrobri che ci sono stati propinati come cavalli), e Stray non riesce ad evitare questo problema, con un modello che non sembra essere stato rifinito davvero nel dettaglio.
Tolto questo, dal punto di vista tecnico ed artistico il gioco è un piacere per gli occhi: la breve sezione iniziale all’aperto non è perfetta, con alcune texture non eccellenti e del fogliame che sembra in alcune istanze finto, ma offre già degli scorci incredibili, con un’illuminazione davvero ben pensata. Ma l’apice viene raggiunto quando finalmente si scende negli ambienti sotterranei, un’esplosione di estetica cyberpunk incredibile, condita da un sacco di luci neon giustapposte con un evidente studio cromatico ed un livello di dettagli nelle abitazioni, gli interni ed in generale l’ambiente che non è affatto cosa comune. Certo, il fatto che non sia un open world aiuta in questo, ma non è un buon motivo per non sottolineare l’estrema cura degli sviluppatori: più dettagli sono più dettagli a prescindere dalla struttura del gioco, e questo permette al giocatore di essere coinvolto ed immerso nell’ambientazione molto più facilmente rispetto a titoli che hanno ricevuto un’attenzione inferiore. È anche abbastanza chiaro che gli sviluppatori siano consapevoli di aver fatto un lavoro incredibile, perché nelle varie aree ci sono diversi luoghi tranquilli con cui potremo interagire per far dormire il nostro micio, attivando un lento zoom out della telecamera che alla fine permetterà di avere una meravigliosa panoramica sull’area che ci circonda, una più bella dell’altra.
Le aree riescono persino ad avere una discreta varietà, con le zone urbane che sono più classicamente cyberpunk ed altre aree più avanzate che invece cambiano nettamente estetica, rimanendo sempre in un’atmosfera sci-fi ma con delle evidenti variazioni.
Un plauso particolare va anche al design dei robot con cui interagiremo spesso durante la storia, i Compagni. Quelli che dai trailer sembravano dei banalissimi robot antropomorfi tutti simili tra loro, nel gioco sono estremamente differenziati da piccoli dettagli e vestiario nonostante di base siano uguali: tutti con un modo di parlare diverso nelle (poche) interazioni disponibili (parlo a livello di scrittura, dato che manca un doppiaggio) e con lo schermo che funge loro da viso che muta anche durante interazioni totalmente opzionali, come il cuoricino che compare ogni volta che ci strusceremo contro le loro gambe.
Le musiche sono un’altra componente riuscita del titolo, per quanto, come spesso succede, non riescano a superare la barriera del “orecchiabili e funzionali” per arrivare al “memorabili”. Segnalo però in particolare i motivetti ascoltabili man mano che si avanza nella succitata missione secondaria in cui dovremo portare degli spartiti ad un robot chitarrista, delle brevissime composizioni che però ci faranno desiderare di rimanere lì immobili ad aspettare che la performance improvvisata finisca invece che andarcene subito per proseguire nel nostro percorso.
Oltre a tutto questo, un’altra cosa su cui mi sento di rassicurare (perché almeno per me era una preoccupazione prima di giocare) è la responsività dei comandi. Non ci troviamo decisamente davanti ad un arcade con latenza 0, ma l’esperienza è godibilissima e soprattutto giocabilissima, con giusto un paio di momenti in cui gli input ci hanno messo qualche millisecondo in più del necessario che ho notato solo durante le sezioni che prevedevano le rocambolesche fughe dagli Zurk.
In generale, quindi, Stray presenta una cura a livello tecnico ed artistico che non è assolutamente da sottovalutare e che anzi denota grande amore e capacità da parte degli sviluppatori, seppur con qualche sbavatura qua e là. La natura del titolo sicuramente lo rende più gestibile di un open world o un gioco con più aree o aree più ampie, ma questo non è un valido motivo per sminuire il lavoro che è stato fatto (motivo che purtroppo vedo tirare fuori troppo spesso, soprattutto riguardo a produzioni minori). Come primo lavoro di una nuova casa di sviluppo non è solo apprezzabile, ma è sinceramente lodevole, raggiungendo degli apici di particolare bellezza negli ambienti e negli scorci che ammireremo quasi ogni istante dell’avventura.
TRAMA E ACCENNI DI LORE (PARTE SPOILER)
Come ho anticipato qualche paragrafo fa, oltre che per il bellissimo comparto estetico Stray sorprende sotto un altro punto di vista, che almeno io avevo fortemente sottovalutato basandomi sui trailer mostrati e sull’idea che mi ero fatta del titolo: vi è una trama più importante di quanto pensassi e, soprattutto, il world building sembra molto, molto più sfaccettato di quanto faccia pensare uno sguardo superficiale. Attenzione però: questo non vuol dire che verremo sorpresi da incredibili colpi di scena, approfondimento dei personaggi degno di una grande produzione cinematografica (anche perché il massimo di sviluppo che può avere un gatto è preferire i grattini sulla pancia a quelli sotto al mento) o una lore che Miyazaki spostati, e non vuol dire nemmeno che questo aspetto sia in toto un lato positivo del gioco. Detto questo, in un gioco che apparentemente sembrava solo una scusa per poter interpretare i panni di un gatto, ci sono delle chicche e degli approfondimenti che, per quanto non superlativi, sono stati sicuramente inaspettati e graditi, pur mantenendo una minima sensazione di frustrazione. Se la trama è semplice, lineare e ha la sua prevedibilissima conclusione, per quanto riguarda il world building e la lore ci sono principalmente solo degli accenni, delle informazioni che ci fanno capire che gli sviluppatori hanno pensato un livello di profondità del mondo di gioco superiore alla mera superficialità, ma che solo di rado possiamo scalfire, e soprattutto in modo poco soddisfacente, lasciando il giocatore con la curiosità di sapere qualcosa di più. Concedo agli sviluppatori il beneficio del dubbio al riguardo, perché sicuramente in un gioco in cui si interpreta un gatto sarebbe stato quanto meno fuori luogo dare la possibilità di interessarsi profondamente al mondo che ci circonda al di là di qualche informazione qua e là trovata tramite i ricordi di B-12 o le parole di qualcuno dei robot con cui ci interfacceremo.
La trama è quanto di più semplice ci si possa aspettare: il nostro obiettivo è trovare il modo di raggiungere l’Oltre dopo essere caduti per sbaglio nel mondo sotterraneo formato da Bassifondi, Città Morta e molto altro? Sì, e per tutto il tempo ci dedicheremo solo a quello. I personaggi sono pochi e ci interagiremo per poco tempo, con qualche chicca qua e là come il vedere il modo in cui i vari robot ormai abbiano assimilato il comportamento umano, creando anche famiglie come nel caso di un robot che ne identifica un altro come suo padre (essendo persino in grado di provare per lui rancore dopo che è scomparso misteriosamente durante le sue ricerche per raggiungere l’Oltre), vedere come alcuni hanno il desiderio fortissimo di scoprire l’Oltre e raggiungere la libertà al punto da formare un’organizzazione (gli Oltreggiosi) che ci permetterà con il loro aiuto di trovare una soluzione al nostro obiettivo, mentre altri considerano questo fine un semplice sogno da illusi, e dicono anche a noi di lasciarlo perdere e abituarci alla vita nel sottosuolo.
Il gatto è… un gatto, quindi salta, si fa le unghie, miagola ed è in generale adorabile, e l’unico altro personaggio costante nella narrazione è B-12. Tolto il modo a parer mio delizioso di inserirlo appieno nel gioco e nell’interfaccia rendendolo il nostro letterale mezzo per interagire con il mondo esterno, a livello di scrittura B-12 non è niente di che come tutti gli altri. Cerca di proporre un plot twist con la scoperta nelle sezioni finali che è lui lo scienziato per cui si ricordava di essere un assistente, che per errore ha estratto la sua coscienza dal suo corpo organico perdendo le memorie e rimanendo, in un certo senso, l’ultimo esponente degli esseri umani al mondo, specie già estinta e che terminerà definitivamente con il sacrificio finale di B-12, che sarà costretto a raggiungere il sovraccarico pur di attivare il “sigillo” che separa la Città Murata 99 (il modo in cui è chiamata questa zona del sottosuolo) e premetterci di uscire.
La narrazione principale, quindi, non è nulla di che, e anche il plot twist finale più che essere tale è solo uno sviluppo aspettato e godibile, ma niente di più. La costruzione del mondo invece è più interessante, dato che alcuni dialoghi e soprattutto i Ricordi danno qualche insight interessante su cosa potrebbe essere successo. Gli Zurk ad esempio, gli unici altri esseri organici che incontreremo oltre a noi, vengono rivelati essere il risultato di un batterio creato tempo prima dagli umani prima dell’estinzione, un batterio che doveva servire a smaltire e dissolvere l’enorme quantitativo di spazzatura ammassatosi nei Bassifondi e che, con la scomparsa degli umani, è mutato fino ad arrivare allo stadio degli Zurk.
Stimolanti sono anche le poche informazioni che otteniamo sulla nascita dei robot, chiamati Compagni, che i Ricordi di B-12 ci rivelano essere stati creati senza l’intenzione di dare loro una personalità, ottenendo dei semplici “pulitori automatici glorificati”. Piano piano, però, hanno iniziato a copiare i comportamenti umani (probabilmente senza comprenderli davvero), con l’ipotesi che anche il loro desiderio di raggiungere l’Oltre non sia altro che un ripetere lo stesso desiderio che avevano gli umani abitanti i Bassifondi, che passavano le loro vite a desiderare di poter ascendere a Midtown (la parte più ricca e alta del sottosuolo). I Compagni sono addirittura arrivati a simulare di mangiare, nonostante la totale mancanza di un apparato digerente, sono capaci di produrre arte, che sia tramite la musica (si ripensi al robot chitarrista) o tramite graffiti, e hanno persino creato una loro lingua, gli strani simboli che vediamo spesso durante l’avventura.
Viene rivelato inoltre che la città sotterranea è stata creata dagli umani come un riparo dal mondo esterno, ormai sempre più pericoloso e invivibile (probabilmente per la degenerazione di disastri ambientali che ben conosciamo), e che a sua volta essa è diventata una dimostrazione delle differenziazioni sociali nella società umana, con gli abitanti dei Bassifondi che passavano la vita a desiderare di raggiungere la più confortevole Midtown, che arrivava persino a gettare la propria spazzatura nei Bassifondi fino al punto da necessitare del succitato batterio per smaltirla.
Tutto questo ci fa capire che gli sviluppatori hanno creato un worldbuilding, hanno pensato al passato del mondo che stiamo visitando, ma purtroppo il gioco non ci permette di scoprire più di qualche vaga informazione superficiale. Ripeto che sarebbe stato estremamente difficile e forse persino fuori luogo permettercelo in un gioco che ha come protagonista un gatto, ma forse la compagnia di B-12 poteva essere sfruttata in modo ancora più “invasivo”, facendoci dare da lui qualche informazioni in più rispetto a quelle che ci dà con i suoi ricordi, almeno nel momento in cui recupera la memoria ricordando di essere stato umano.
CONCLUSIONI
Stray è una nuova piacevole sorpresa offertaci da Annapurna, una sorpresa che però non riesce a raggiungere l’apice del diventare indimenticabile. È un’esperienza godibile, intrattenente ed interessante, capace persino di sorprendere per il suo impressionante livello di dettaglio e cura data l’esigua grandezza della produzione, ma non è un piccolo capolavoro, come è stato chiamato da molti dopo l’uscita. Questo però non vuol dire che vada dimenticato: Stray non solo è un ottimo prodotto a sé, ma trova il suo valore in particolare nell’essere un’opera prima, un’opera prima che fa sperare grandi cose riguardo i futuri lavori di BlueTwelve Studio.
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