The Missing: J.J. Macfield and The Isle of Memories - VisiThors

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Qualcosa che purtroppo non capita spesso, almeno per me, è approcciarmi ad un gioco “sottovalutandolo”, incuriosita ma senza aspettarmi nulla di che o niente di particolarmente originale, solo per poi essere sorpresa oltre ogni aspettativa dal titolo in questione. Ecco, per mia fortuna The Missing: J.J. Macfield and The Isle of Memories è stata una di queste inaspettate ma incredibili esperienze, e forse una di quelle che mi hanno più messo a dura prova.
The Missing è, sulla carta, un gioco come ne esistono a centinaia se non migliaia: un puzzle-platform a scorrimento orizzontale indipendente, con come unico spunto particolarmente interessante la mente dietro il progetto. Il director è infatti Hidetaka Suehiro, conosciuto ai più con lo pseudonimo di SWERY, famoso principalmente per aver lavorato ai Deadly Premonition, degli horror tanto goffi a livello di gameplay quanto folli e originali a livello di trama e personaggi, tanto da guadagnarsi una piccola ma solidissima nicchia di fan. The Missing è il primo titolo pubblicato dopo il cambio di studio da Access Games a White Owl Inc., ed in quanto tale ha attirato l’attenzione di giusto i fan dell’autore o qualcuno che bazzica come me il panorama indie in modo costante.
Sono a conoscenza di questo gioco da quando è uscito nel 2018, ed è sempre stato uno dei “ci giocherò… ma non ora” che costellano la carriera di ogni videogiocatore con tendenze alla procrastinazione che si rispetti. Finalmente ho deciso di metterci su le mani con la scusa di non avere tanto tempo per giocare a titoli più grossi e sfruttando un provvidenziale sconto sullo Store Playstation (il titolo è disponibile per tutte le console di scorsa generazione e Windows), e mi sono maledetta per non averlo giocato prima. Al netto di un comparto tecnico che mostra chiaramente il poco budget e qualche sbavatura nella legnosità dei comandi e alcuni enigmi, The Missing è stata infatti un’esperienza che definire unica sarebbe riduttivo.
Emily e JJ
Duplice avvertimento: la parte non spoiler relativa alla trama sarà breve, ed è in generale molto difficile parlare del titolo senza fare anche solo piccolissimi e decontestualizzati spoiler. Inoltre, cosa più importante, il gioco si apre con un chiarissimo avviso al giocatore, che mi permetto di riportare qui prima di iniziare la trattazione in quanto è non skippabile e letteralmente una delle prime cose che si vedono avviando il software: “This game contains explicit content, including extreme violence, sexual topics, and depictions of suicide”. Quindi, violenza estrema, argomenti che hanno a che fare con la sessualità, e suicidio: un ottimo modo di passare un mercoledì sera, no? Se siete persone particolarmente sensibili a questi argomenti o dallo stomaco particolarmente debole in generale e state pensando “quanto potrà essere pesante un gioco con quella grafica?”, non lasciatevi ingannare dalla veste grafica e dalla natura di platform a scorrimento.
Vi posso assicurare che The Missing è brutale come poche cose io abbia giocato, ed è stato l’unico gioco che ho iniziato per poi abbandonarlo dopo quindici minuti perché in quel preciso momento non mi sentivo in grado di poter reggere quello che ho capito essere l’esperienza. Il mio collega si ricorderà l’audio con voce sconvolta che gli è arrivato alle undici di sera, a cui ha risposto con un laconico, ma sempre molto espressivo (mi perdonerete il francesismo) “ma che cazzo”.
Quindi, siete avvisati dal gioco, e da me che vi dico che non è un’esagerazione: The Missing è un titolo che tratta di temi pesanti e che possono essere troppo per qualcuno che abbia vissuto situazioni simili, e la meccanica base di gioco è agghiacciante e non smetterà mai di farvi sentire in colpa o farvi storcere il naso per il disgusto, pur con una realizzazione visiva che cerca di mettere una pezza a ciò che sta succedendo. Lo stesso vale anche per questa recensione; se vi basta leggere descrizioni di violenza esplicita (purtroppo è davvero inevitabile) per disturbarvi, saltatela a piè pari, nessuno ve ne vorrà.
Detto questo, addentriamoci finalmente nella trattazione vera e propria di questo folle e doloroso viaggio.
TRAMA
Dopo aver iniziato una nuova partita, vediamo come prima cosa la nostra protagonista davanti ad una barchetta in un piccolo molo venire raggiunta da un’altra ragazza, che salta con una risata sulla barca e la invita ad unirsi a lei. Subito dopo, uno stacco con una voce narrante che ci racconta l’ambientazione: in Nord America, nei pressi del Maine, vi è un’isola conosciuta come Memoria Island. Piena di artefatti antichi, si dice che l’isola abbia il potere di richiamare i ricordi formativi di chiunque ci si rechi, con i suoi antichi abitanti che la definivano “A’ Lapo Grymo”, che nella loro lingua significa “luogo in cui ritrovare ciò che è stato perso”.
Torniamo alle due ragazze, adesso sedute davanti ad un falò in un campeggio improvvisato, che ammirano le stelle chiacchierando e scherzando su quella che sembra proprio essere un’isola. Veniamo così a scoprire che la nostra protagonista è proprio la J.J. del titolo, e che la ragazza che è con lei, Emily, è una sua amica e poco dopo intuiamo anche qualcosa di più. In seguito ad una presa in giro al romanticismo reciproco e un piccolo screzio dopo che J.J. si allontana da un tentativo di abbraccio di Emily, le due si scambiano un’effusione riconciliatoria (non si scorge bene se un bacio o un sospetto avvicinamento dei volti), ma presto la situazione cambia.
Le due ragazze sotto il cielo stellato
Veniamo infatti svegliati da quella che sembra essere la voce di Emily distorta che ci chiama, e ci ritroviamo da soli davanti alla panchina su cui eravamo sedute, con solo il nostro peluche in braccio ed Emily scomparsa. Cercando la nostra compagna, ci imbatteremo presto in una creatura mostruosa che si sta nutrendo di quello che sembrerebbe essere un duplicato del corpo di J.J., e subito dopo vediamo Emily, che scappa dopo essere stata vista dal mostro.
 
Non passa molto tempo prima che l’isola mostri appieno la sua natura ostile e pericolosa, e presto J.J. si troverà ad essere ferita gravemente da un fulmine che la colpisce mentre percorre un bellissimo campo fiorito, e la scena che ci aspetta subito dopo è qualcosa che definire agghiacciante è riduttivo: siamo costretti a sentire per diversi secondi le urla agonizzanti della nostra protagonista e a vedere il modo in cui si contorce in preda al dolore mentre letteralmente va a fuoco e viene carbonizzata, solo per essere raggiunta da un’inquietante figura dalla testa di cervo e con indosso un camice, che ci viene incontro a carponi per poi alzarsi quando ci arriva di fronte, raggiunto da altri due cervi. La figura ripete frasi sconnesse con voce metallica riguardo un’emorragia e la somministrazione di una scarica, e su schermo compare un input: tenere premuto triangolo (o il tasto relativo su altre console). Dovremo farlo più di una volta, e ad ogni pressione continueremo ad assistere al dolore di J.J. che, ancora viva, si contorce nel tentativo di rialzarsi. Infine, per motivi non chiari né a noi né alla protagonista, dopo aver sofferto ulteriormente J.J. riesce miracolosamente a riprendersi, tornando alla sua condizione normale e vedendo andare via lo strano uomo-cervo dopo che è di nuovo in salute. E sull’immagine di una J.J. sconvolta e piangente, confusa da tutto quello che sta succedendo e soprattutto sul motivo di questa sofferenza, compare il titolo del nostro adorabile e per niente pesante gioco indie.
GAMEPLAY
Non c’è molto da dire sulla componente di gameplay di The Missing, che è a conti fatti il platform più classico del mondo, con pochi comandi che permettano di affrontare tutti i livelli e gli enigmi che ci troveremo davanti. Potremo infatti saltare (non vi è mai né il doppio salto né un dash), scalare pareti abbastanza basse e trascinare oggetti che possano servirci per superare ostacoli, con inoltre la possibilità di poter raccogliere e lanciare piccoli oggetti (come pietre e mattoni) per alcuni enigmi e potendo metterci a carponi o sdraiarci per passare sotto a determinate aree. Il tutto cercando di evitare le difficoltà che ci si pareranno davanti, principalmente spine, burroni, creature aggressive e fuoco, con l’obiettivo di evitare la morte o la sofferenza della nostra protagonista, giusto? Ed ecco dove il gioco scopre le carte: no. La capacità di J.J. di tornare in salute dopo ferite terribili che abbiamo visto nell’intro diventa una vera e propria meccanica di gioco, anzi la più importante, in quanto spesso e volentieri è la chiave per superare un’area.  Questo vuol dire che dovremo ragionare al contrario di quanto non facciamo con la maggior parte dei giochi: i pericoli non sono pericoli, bensì opportunità. Ci troveremo a sperimentare, analizzare ed esplorare i danni che possiamo causarci, cercando di capire come possano esserci utili. Un paio di esempi, nel primo caso letteralmente il primo enigma, nel secondo caso una meccanica presentata molto presto ma che consiglio di saltare se si vuole approcciare il gioco sapendone il meno possibile. Il primo enigma (quello che mi ha portato a spegnere la console e pensare “no, non ‘sta sera”) è il più classico dei classici: un’asse che si alza e si abbassa a seconda di su quale estremità siamo posizionati, così che quando avremo finito di percorrerla sarà orientata verso il basso. Il problema è che dall’altra parte ci aspetta del filo spinato fittissimo, sotto cui dovremmo passare strisciando, quindi siamo costretti a trovare il modo di far  stare ferma l’asse con un contrappeso, così da permettere a J.J. di strisciare sotto le spine. Problema: non c’è assolutamente nulla che possa fare da contrappeso, nemmeno qualche sassolino. A quel punto il giocatore, abbastanza disgustato ed inorridito, si rende conto che il gioco ci sta dicendo che abbiamo davanti tutto quello che ci serve: con quattro arti, potremo pur sacrificarne due o tre, no? E quindi ci troveremo nella situazione che definire grottesco è riduttivo di mutilare la povera J.J. contro il filo spinato, solo per poi farle raccogliere i suoi arti e farglieli posizionare dall’altra parte dell’asse, in modo da farle da contrappeso mentre striscia sul legno sanguinando e lamentandosi. Tutto questo per poi tenere premuto triangolo dall’altra parte, ripristinando in toto la salute della poveraccia.
Quando si dice un'esperienza shockante
Questa meccanica viene utilizzata in modi inquietantemente creativi, uno dei quali è il seguente (se non volete sapere questo dettaglio per godervi i livelli successivi totalmente in blind, passate pure al prossimo paragrafo): ci sono delle situazioni in cui potremo spezzare il collo di J.J., e questo ci permetterà di cambiare la gravità, capovolgendo completamente il livello. Inoltre potrebbe tornarci utile farle prendere fuoco per poter bruciare delle sterpaglie che ci bloccano la strada, stando però attenti a non cadere o fare salti troppo rischiosi perché da carbonizzata perderà immediatamente alcuni arti, dandoci un malus in più. Mutila, vai avanti, guarisci, ripeti: avete capito il concetto.
Per fortuna però non passeremo tutto il tempo a tormentare in qualsiasi modo immaginabile la nostra protagonista (c’è anche una simpatica icona nell’HUD che si premura di informarci di quali danni ha J.J. al momento), e avremo qualche breve momento di gioia.
Ci sono diversi collezionabili nel gioco, sotto forma di donuts, e ogni volta che ne raccoglieremo un certo numero riceveremo dei premi, una parte dei quali è puro flavour o curiosità, mentre l’altra è sincero approfondimento del personaggio. Oltre ai cheats (chiamati così ma che in realtà non sono altro che skin alternative per J.J.) e a dei bozzetti e artwork del gioco, dal cellulare di J.J., il menu di gioco, potremo anche accedere ai suoi messaggi prima del viaggio. Qui potremo sbirciare più nel profondo la personalità di J.J. e il rapporto che aveva con diverse persone, più o meno in confidenza con lei. Progredendo con la storia avremo sempre più messaggi da leggere, quelli più importanti e “di trama”, mentre raccogliendo i donuts potremo ottenerne di aggiuntivi, sempre un piacere da leggere sia per approfondimento che semplicemente per vedere delle conversazioni che strappano un sorriso. I nostri interlocutori saranno sei: nostra madre ed Emily (di entrambe avremo solo i messaggi principali), Lily, Abby e Phillip (giovani compagni universitari di J.J. con cui è più o meno amica) ed infine il Professor Goodman, un docente con cui J.J. entra in contatto in seguito alla sua passione per il suo corso. Mi raccomando, ricordatevi sempre di dare un’occhiata al cellulare quando vi arriva la notifica o dopo un evento di trama che vi sembra importante: questi messaggi sono il mezzo con cui capire appieno gli strani avvenimenti che ci accadono davanti agli occhi, ed offrono sempre buoni spunti per iniziare ad unire i puntini o semplicemente speculare.
Due parole sulla longevità. Ci troviamo davanti ad un platform indie, e come molti di essi non è un gioco particolarmente lungo, anzi: io ci ho messo intorno alle cinque ore per completare la storia la prima volta e ci avrò messo un’oretta o poco più aggiuntiva per ottenere tutti i collezionabili ed i trofei (cosa che non vi darà il platino, perché quest’ultimo non c’è; sto ancora soffrendo e rosicando), e sinceramente è la lunghezza perfetta. Anche solo un paio di ore in più e avrebbe rischiato di diventare annacquato o ripetitivo, invece così riesce a mantenere anche una discreta varietà negli enigmi, alcuni meno brillanti di altri ma generalmente quasi tutti ben pensati e soddisfacenti.
Infine, due parole su quelli che sono dei difetti del sistema di gioco. Prima di tutto, i comandi non sono proprio la definizione di fluido: non sono ingestibili, ma sono abbastanza legnosi da necessitare di qualche minuto per abituarcisi, per quanto poi per fortuna non ci siano molte situazioni in cui possano essere davvero un problema. La legnosità dei movimenti e dei comandi diventa invece un problema nelle poche sezioni in cui ci troveremo a dover effettuare un platforming più dinamico per sfuggire al mostro che abbiamo visto all’inizio.
Queste sono indubbiamente le parti meno intrattenenti del gioco in quanto, tolta l’adrenalina della prima volta in cui succede e la curiosità davanti all’aspetto della creatura, si riducono ad un trial and error e un tentativo di essere il più veloci possibili con degli input non proprio immediati e non molto precisi. Tolto questo, in generale il gioco è un buon platform con enigmi molto interessanti, e la meccanica base del titolo, per quanto decisamente difficile da digerire e il motivo per cui molti potrebbero decidere di non proseguire, fa entrare in un mindset molto diverso dal solito, garantendo un’esperienza che ci farà scervellare in modi molto più macabri e originali di quanto non siamo abituati. Il completismo inoltre offre una sfida in più, dovendo esplorare bene ogni livello e trovare il modo di non perdere nulla, e consiglio di dedicarcisi, in quanto come già detto prendere tutti i donut ci permetterà di ottenere tutti i messaggi passati di J.J., dandoci qualche spunto interessante sulla sua vita.
Il mostro che ci insegue per tutta l'avventura
Inoltre, il gioco renderà facile questa cosa: completato un livello, dal menu principale potremo ripeterlo quando vorremo, quindi, finito il gioco, potremo semplicemente selezionare i livelli in cui ci mancano ancora dei donut (un contatore ce li segnalerà) e completarli al 100%. Inoltre, rigiocare questi livelli per dedicarsi alla raccolta di tutto dopo aver terminato il gioco una volta offre delle chicche ottenibili solo ad un secondo walkthrough: se vi siete divertiti, vi assicuro che ne vale la pena, foss’anche per la soddisfazione di vedere il titolo completato.

COMPARTO TECNICO ED ARTISTICO
 Non si tratta di un titolo ad alto budget, e si vede. Graficamente The Missing non è nulla di che, con alcuni sfondi realizzati abbastanza male (con poligoni grossissimi e texture non rifinite) che si alternano ad alcuni ambienti che invece sono molto d’impatto visivamente, molto più per la cura estetica e cromatica che per un’effettiva realizzazione tecnica di alto livello. Abbastanza legnose sono anche le animazioni, che spesso non sembrano molto naturali ma la versione di una corsa, un salto, una scalata che potrebbe essere ottenuta muovendo una bambolina. Questo non vale per le animazioni delle ferite di J.J., forse purtroppo: il suo contorcersi in preda al dolore mentre va a fuoco appare come terribilmente realistico, e andare a passeggio con un paio di arti in meno o con una gamba spezzata (visibile e che porterà J.J. a cadere dopo qualche passo) fa senso, anche dopo ore ed ore di gioco.
Come vedete sia JJ che il sangue hanno una più che pesante censura
La rappresentazione visiva della condizione di J.J. è chiaramente una parte del titolo in cui gli autori hanno dovuto sottoporsi ad un minimo di censura (dopotutto, per me incomprensibilmente, il gioco è un PEGI 16, non 18), facendo diventare il personaggio completamente nero come se oscurato da un’ombra in seguito a determinate ferite e sostituendo il colore rosso del sangue e delle viscere con il bianco, in una scelta di censura stilosissima che mi ha non poco ricordato il famoso sangue rosa acceso di Danganronpa.
Tolte alcune zone come ho accennato, l’HUD gestito come un cellulare, ed il design di J.J. (che, nella sua semplicità, io trovo molto distintivo), anche il comparto estetico non vanta una qualità costante: si passa dal meraviglioso campo fiorito dell’inizio ad un banale treno, e così via per tutta l’avventura.
Inoltre, ho trovato davvero un peccato il fatto che a perseguitarci fosse solo una creatura, senza nessuna variazione nel design: a livello di storia ha perfettamente senso (ed anche il suo design ha un significato che diviene chiaro), ma mi è dispiaciuto non vedere più mostri, anche perché il design chiaramente di stampo nipponico di questo è un piacevole e spiazzante contrasto con il resto del titolo (non ho realizzato che fosse un gioco giapponese finché non ho visto la creatura ed in seguito i kanji nei bozzetti che si sbloccano man mano). Ci sono sì un paio di creature ricorrenti in cui ci imbatteremo, ma sono più interessanti per il possibile significato metaforico dietro la loro presenza che per il loro design vero e proprio. Un plauso va invece all’uomo-cervo che vedremo diverse volte avanzando, che pur non essendo apparentemente ostile nei nostri confronti rimarrà una presenza incredibilmente inquietante, con la sua voce metallica, il suo aspetto bizzarro e soprattutto i suoi movimenti, scattosi e innaturali.
Il comparto musicale non prende molto tempo: ci sono poche composizioni con nessun picco in particolare, essendo semplicemente delle musiche di sottofondo che accompagnano quello che facciamo o vediamo a schermo. Non brutto quindi, perché funziona, semplicemente non offre nessun brano che colpisca tanto da imprimersi nella memoria di chi gioca.
Infine, per quanto possa sembrare strano, il comparto sonoro è sia un difetto del gioco, che un suo grandissimo pregio. Un difetto innegabile è il doppiaggio, della nostra protagonista e di Emily: da quel che ho capito l’unico disponibile e anche quello originale è il doppiaggio in inglese di default (non ho infatti trovato opzioni per cambiare le voci né dopo qualche ricerca ho potuto sentire un eventuale altro doppiaggio), che purtroppo, non so se per mancanza di esperienza o per lavoro approssimativo e mal diretto, non è per niente convincente. Praticamente qualsiasi conversazione sentiremo nel titolo è portata avanti con un tono chiaramente non adatto al momento, rendendole poco credibili e poco consone allo stato emotivo in cui dovrebbe essere il personaggio in quell’istanza.
Dall’altra faccia della medaglia, però, tutto il resto che forma il comparto sonoro del gioco è efficace e diretto: le grida di dolore di J.J. sono strazianti e colpiscono ogni volta, ed anche le voci distorte che sentiremo durante il titolo (che penso siano state registrate facendo parlare al contrario, invertendo l’audio e modificandolo un po’) sono disturbanti, riuscendo ad essere umane ma non troppo, ricadendo nella sfera della famosa uncanny valley. Inoltre (mi rendo conto che non sia piacevole parlarne, ma il gioco come avrete ormai capito lo richiede), i suoni delle ferite inflitte a J.J. sono molto, molto realistici: una frattura impressiona di più per l’audio e le grida che per la realizzazione visiva in sé, e questa visceralità nel suono è forse la cosa più disturbante di tutto il gioco.
Il Medico-Cervo che ci salva la vita
Detto questo, è impossibile proseguire senza fare spoiler, dato che ci resta da parlare solo della trama. Quindi, saluto qui chi ha intenzione di recuperare il titolo, limitandomi ad informare che no, la violenza vista non è puro shock value e sì, vengono trattati temi decisamente pesanti e sentiti da molte persone, e che in generale la storia riesce a colpire molto, più reale e concreta di quanto ci si potrebbe aspettare. Per chi ha già giocato The Missing o non ha paura degli spoiler, invece, continuiamo a vedere quali sono i motivi dietro tutto quello che sta succedendo, e il perché di tutto questo dolore.
TRAMA E NARRAZIONE
Inizio col dire che ho assolutamente adorato il fatto che la storia venisse raccontata principalmente tramite i messaggi che possiamo leggere nel cellulare di J.J. Sì, riusciremo a capire gli eventi principali anche semplicemente andando avanti, scoprendo effettivamente cos’è successo e tramite le strane chiamate con Emily durante il gioco, ma ci perderemo una parte fondamentale della caratterizzazione di J.J., del suo passato, del suo rapporto con le persone che le stanno intorno e, soprattutto, di come è arrivata a fare quello che ha fatto. The Missing infatti ricade in un topos narrativo classico, ossia quello del “ciò che stiamo vedendo è un sogno/visione metaforica che rappresenta ciò che è davvero successo”. Ora, questo è un elemento che è estremamente difficile da trattare bene e spesso si riduce ad essere deludente e apparentemente tirato fuori dal nulla per il gusto di avere un plot twist facile, ma in The Missing funziona, per un motivo semplicissimo: non è un plot twist. Penso che nessuno, dopo qualche minuto di gioco, si sia illuso che quello che si stava vivendo fosse reale, in quanto a parer mio è abbastanza chiaro sin da subito che stiamo vedendo una rappresentazione metaforica di qualcosa successo davvero. Questo crea nel giocatore una curiosità e un desiderio di analisi di ogni minimo dettaglio, per cercare di capire cosa potrebbero voler dire tutte le cose assurde che ci si parano davanti o, in primis, la terribile meccanica base del titolo.
Poste queste basi, vi assicuro che il desiderio di raccogliere quanti più collezionabili possibile per avere conversazioni secondarie ed aggiuntive si fa sentire per tutto il tempo, ed è difficile da ignorare: possiamo infatti vedere com’era J.J. prima degli eventi, capire il suo carattere, il suo modo di fare, vedere quali erano i suoi interessi, problemi, e iniziare anche tramite piccoli dettagli a capire un paio di cose. Ad esempio, ricordo il momento in cui ho letto la conversazione col Professor Goodman riguardo un prototipo di protesi presentato da J.J., e gli ingranaggi nel mio cervello che iniziavano a ragionare a come la cosa potesse collegarsi al costante autolesionismo cui il giocatore è forzato. E, piano piano, tutto assume un senso, tutto diventa chiaro, con alcune cose in forse probabilmente per la confusione di J.J. a riguardo, ed alcune cose che semplicemente non vengono mai spiegate.
Una delle chat con Emily che possiamo leggere durante il gioco
Ma quindi, come siamo arrivati a questo punto?
J.J. è una studentessa universitaria ai tempi della vicenda (prodotto giapponese e nessun liceale? Un miracolo), che si è appunto trasferita a vivere nel dormitorio della sua scuola andando via da casa, dove viveva con la madre. A scuola conosce diverse persone con cui fa più o meno amicizia: Phillip, un ragazzo benestante e superficiale che sottovaluta le sue responsabilità e il cui rapporto con J.J. è composto di frecciatine, battute ma un sincero affetto di base; Abby, una ragazza ribelle  e anticonformista in buoni rapporti con la protagonista e per cui J.J. esprime rispetto più di una volta, ammirando il suo carattere deciso e il suo coraggio di finire nei guai pur di fermare un’ingiustizia; Lily, una giovane apparentemente più infantile e solare ma a tratti inquietante, che capiamo presto avere un’evidente cotta per J.J.; ed infine il Professor Goodman, l’unico docente con cui J.J. si scrive e il cui rapporto inizia come un semplice contatto universitario, per poi diventare uno scambio fatto di reciproco affetto e rispetto nel momento in cui Goodman rimane colpito dalle capacità di J.J. nella sua materia (industrial design) e iniziano a parlare di questa passione condivisa, con Goodman che in un paio di istanze diventa il nostro eroe ammettendo di essere un nerd appassionato di Star Wars che va alle convention travestito da Chewbecca.
Gli unici rapporti di lunga data di J.J. sono la madre, una donna che capiamo presto essere apprensiva, di vecchio stampo e molto religiosa, ed Emily, la migliore amica di J.J. e il cui rapporto con lei è costantemente ambiguo. Per quanti messaggi infatti possano far pensare che ci sia una relazione romantica tra le due, altrettanti definiscono i sentimenti sotto un’ottica puramente platonica, per quanto in un paio di istanze possa essere intuibile che potrebbe esserci un interesse non corrisposto e non espresso esplicitamente.
Emily è l’unica di queste persone con cui interagiamo anche durante il gioco vero e proprio, anche se parliamo con una sua versione chiaramente distorta, terribilmente inquietante, con quella voce stridula ed innaturale che esprime costantemente un pessimismo ed un dolore notevole. C’è però un secondo personaggio con cui interagiremo durante i vari livelli, sempre tramite dei messaggi su cellulare: FK, il malconcio peluche a forma di coniglio rattoppato di J.J., che è stato distrutto all’inizio dal primo fulmine che uccide la protagonista. Ovviamente la prima reazione di J.J. quando riceve dei messaggi dal suo peluche è di considerarlo uno scherzo e insultarlo per farlo smettere, ma piano piano i due (per quanto J.J. non sia convinta al 100% da quello che sta succedendo) si avvicinano di più, con J.J. che inizia ad accettare ed essere riconoscente per la preoccupazione e l’affetto che FK dimostra verso di lei. Piccola menzione non necessaria ma divertente: le conversazioni con FK sono le più assurde di tutte, con alcuni messaggi che non possono fare a meno di far ridere per le stupidaggini che si stanno leggendo, quindi ne vale la pena anche solo per questo.
Una delle chat con FK, il peluche
Ho apprezzato incredibilmente il modo in cui queste conversazioni tramite messaggio sono state scritte, in quanto ho quasi sempre avuto la sensazione di stare leggendo dei messaggi veri, riconoscendo vari modi di scrivere di persone in cui mi sono imbattuta o persino il modo in cui posso parlare io con dei miei amici e conoscenti e la naturalezza con cui sono inseriti sticker (sì, ci sono gli sticker), battute, frecciatine e momenti a cuore aperto.
Tramite le vecchie conversazioni scopriamo che J.J., nonostante un’apparente aura di freddezza, è una persona altruista e che lavora moltissimo, assumendosi spesso troppi impegni e stancandosi incredibilmente pur di portarli tutti a termine al meglio (il Professor Goodman più di una volta esprime preoccupazione per la salute della ragazza, offrendole anche qualche momento di svago e di riposo dagli impegni con l’università). Tutti si aspettano il meglio da J.J. costantemente, e vediamo una chiara per quanto celata volontà di J.J. di rispettare queste aspettative, lasciandosi andare allo sconforto solo ed unicamente nelle conversazioni con Emily, l’unica con cui sembra esserci una sincerità assoluta.
Ovviamente, la madre di J.J. è la presenza più pesante ed apprensiva nella vita della ragazza: esprime costante disappunto per praticamente ogni scelta, mettendo in dubbio la volontà di andarsene di casa per studiare e la sua capacità di prendersi cura da sola della propria quotidianità. Le conversazioni sono quasi tutte discussioni più o meno pesanti, in cui si vede che nella madre c’è una base di vero e profondo affetto, espresso però in un modo che fa sentire J.J. oppressa e non capita, uno dei motivi per cui ha deciso di spostarsi per l’università.
Vediamo anche che la madre, come già accennato, è una donna di altri tempi, molto credente e bigotta: in una conversazione esprime la sua gioia nel sapere che J.J. è “una persona normale”, perché è preoccupata da tutti i cambiamenti che ci sono tra i giovani, arrivando ad esprimere disappunto e disgusto in particolare per chiunque abbia un’identità sessuale diversa da quella “standard”. Questo è uno dei pochi momenti in cui J.J. si oppone in modo chiaro alla madre, chiedendole cosa ci dovrebbe essere di sbagliato in questo e perché dovrebbe essere un qualcosa di innaturale e da condannare.
 
Capiamo quindi che in qualche modo dev’essere successo qualcosa che ha a che fare con la sessualità nella vita di J.J., e dopo l’introduzione e i messaggi ambigui con Emily, per me la risposta era abbastanza chiara: le due hanno una relazione, o quanto meno c’è un interesse di J.J. verso Emily, ma data la natura della madre la ragazza si sente a disagio con questa consapevolezza, parlando spesso con la sua amica di un “segreto” confessato solo a lei quando erano bambine, e che J.J. è molto grata Emily abbia accettato senza volerla allontanare.
Una conversazione in particolare con la madre mi ha fatto convincere al cento per cento che queste fossero le dinamiche: la madre infatti scrive a J.J. di essere entrata a pulire la sua stanza nonostante la figlia le abbia chiesto esplicitamente di non farlo, ed esprime preoccupazione nel confessare che ha trovato dei vestiti femminili chiaramente non suoi nell’armadio. J.J. risponde subito sulla difensiva, ricordandole che non vuole che frughi fra le sue cose. Apparentemente lineare, no? Probabilmente sono vestiti lasciati da Emily durante qualche nottata passata lì, e J.J. temeva venissero trovati, facendo insospettire la madre sulla loro relazione. Ma no, il gioco procede subito a cambiare completamente la mia prospettiva: J.J., per giustificarsi, dice proprio che quelli sono vestiti di Emily, dimenticati lì dopo aver dormito da loro una notte.
La conversazione sbloccata subito dopo con Emily fa capire chiaramente che il problema non è quello: J.J. le dice impanicata che la madre ha trovato i vestiti, che le ha detto una bugia nella speranza che non capisse, ed Emily esprime preoccupazione a sua volta, tentando però di rassicurare J.J. dicendole che andrà tutto bene.
La situazione sembra peggiorare anche a scuola. Lily scrive a J.J. chiedendole perché avesse preso un certo tipo di libro dalla biblioteca dell’università, dato che è un libro che parla di persone… strane, e non credeva che J.J. fosse tra loro. J.J. dissimula l’accaduto, negando il fatto e cercando di passarci sopra, ma capiamo dai messaggi successivi che non ci è riuscita.
Ormai girano molte voci su J.J. nell’università, molto probabilmente iniziate proprio da Lily, e la madre stessa le scrive che ha capito cosa c’è che non va, dato che ha sentito la madre di Emily che le ha detto che quei vestiti non sono della figlia, chiaramente troppo grandi per lei.
Le dice quindi di aver trovato un terapista che può aiutarla, che può guarirla, perché è malata, ma fortunatamente non è una malattia che non possa essere eliminata. Ci sono delle persone che tentano di offrire aiuto e supporto a J.J., come Abby (che esprime disappunto per il modo in cui gli altri studenti parlano di lei alle sue spalle e le dice che non le importa, è dalla sua parte) ed il Professor Goodman, che esprime preoccupazione per J.J. e le offre persino di andare a cena da lui e dalla sua famiglia, per distrarsi e passare una bella serata senza pensare a quello che sta succedendo. Emily è l’unica costante nella vita della protagonista, ed anche in questa situazione offre il suo supporto all’amica: le dice che è dalla sua parte, che la situazione si risolverà, che se ha bisogno ovviamente è con lei, come è sempre stato. I messaggi con Emily sono i momenti in cui vediamo che J.J. sta crollando, perdendo lucidità, spaventata dalla situazione.
La conversazione citata con la madre
Infatti risponde bruscamente e con aggressività all’amica, in particolare chiedendole “che tipo di amore” sia quello che Emily dice di provare per lei, solo per scusarsene subito dopo.
Intanto continua la ricerca di Emily nel mondo assurdo e pericoloso in cui ci muoviamo, finendo in un inseguimento con la ragazza in una torre dell’orologio, in cui Emily diventa più ciarliera che mai e dice cose che in realtà sembrano essere legate a J.J.: parla del suo segreto, del fatto che J.J. l’ha accettato, della decisione che ha preso e del suo rammarico verso il mondo, chiedendosi quale sia il motivo per cui si nasce, che tutti sembrano ricondurre alla sfera sessuale con un’ossessione per il sesso.
Finita la scalata, troviamo Emily, ma è tardi: la ragazza è già morta, impiccata. Di fianco a lei c’è un secondo cappio, in attesa di qualcuno, e J.J., disperata e piangente, si unisce all’amica. Ma il gioco non è finito. Dopo una rapida sezione di gioco in cui facciamo camminare J.J. in una stanza universitaria in mezzo ai “fantasmi” di altri ragazzi che la fissano, la guardano, sussurrano alle sue spalle mentre invece lo spettro di Emily le corre incontro per rassicurarla, vediamo che J.J. ha una nuova conversazione con FK, esprimendo finalmente di sapere cosa sia successo: è morta, si è uccisa, ed ecco perché sta vivendo tutto questo. Ma FK la rassicura e la sprona, dicendole che non tutto è perduto, e quindi J.J., più decisa e con una nuova consapevolezza, si alza in piedi, affrontando finalmente l’Hairshrieker (il mostro che ci perseguita dall’inizio), riuscendo dopo un inseguimento ad attirarlo in una trappola e sconfiggerlo. Ripercorriamo il prato fiorito dell’inizio, questa volta luminoso, solare e bellissimo, trovandoci davanti infine Emily. Emily, che chiede a J.J. se finalmente abbia trovato ciò che stava cercando, dicendole di non perderlo ancora quando la vede crollare in un pianto sollevato e di sfogo.
La Torre dell'Orologio
Dopo tutto questo, arriva nuovamente l’uomo-cervo e, dopo qualche flash, ci ritroviamo catapultati finalmente nel mondo reale, il sospetto che ci ha accompagnato nelle ultime sezioni di gioco confermato: non ci troviamo infatti davanti la ragazza bionda che abbiamo controllato per tutto il gioco, ma un giovane bruno, che si risveglia di soprassalto con delle bende e medicazioni sulla braccia, un paio di paramedici che lo stanno soccorrendo. Qui ricolleghiamo tutto: la prima cosa che J.J. vede svegliandosi è una testa di cervo decorativa, che, unita alla presenza del paramedico, spiega lo strano uomo-cervo che parla di emorragia, arresto cardiaco e rianimazione; FK è di fianco a noi, e ci viene spiegato che l’averlo premuto sulle ferite prima che arrivassero i soccorsi ha aiutato a fermare l’emorragia più facilmente, un supporto nel mondo reale prima che nella strana esperienza pre-morte; il fulmine che ci colpisce all’inizio e alla fine è una rappresentazione del defibrillatore che cerca di riportarci in vita; il costante autolesionismo ovviamente collegato al tentativo di suicidio di J.J., e forse ad un passato ma mai discusso esplicitamente autolesionismo prima della scelta finale; ed infine Emily, che abbraccia J.J. sollevata dicendo che era terrorizzata, e che il subconscio di J.J. ha probabilmente sostituito all’esperienza di J.J. stessa, aiutandola nel realizzare il peso e il dolore che la sua scelta stava causando nelle persone a lei vicine.
 
E sull’abbraccio delle due amiche, con J.J. che afferma di aver finalmente capito chi è veramente, iniziano i titoli di coda.

CONCLUSIONI
Spero di aver reso evidente che il titolo non sia perfetto, né dal punto di vista ludico e meccanico, né dal punto di vista narrativo: ci sono infatti dei punti non chiari, in primis il reale rapporto con Emily, il perché J.J. non abbia buttato o si sia portata dietro i vestiti che aveva a casa per evitare che li trovasse la madre (suonando così di plot convenience lontano un miglio), che ruolo abbia Memoria Island, se sia effettivamente un’isola reale che J.J. ed Emily avevano visitato durante le loro gite passate riportata a galla dall’inconscio di J.J., ed ovviamente tutta la sezione finale prima del risveglio, terribilmente vicino ad un fastidiosamente ottimista “credici!”. Ma, tolto questo, The Missing rimane un gioco che è una pecora nera, trattando un tema che non si vede spesso, soprattutto in ambito videoludico, e facendolo con una delicatezza e una cura inaspettata. Non è facile parlare di transessualità senza scadere in stereotipi, banalità o ancora peggio, essendo irrispettosi, ma The Missing ci riesce perfettamente, immergendoci e facendoci capire il disagio di J.J. dall’inizio alla fine, riuscendo a commuovere in un sincero orgoglio e sollievo quando vediamo l’accettazione.
La terribile meccanica base del gioco è propedeutica alla nostra comprensione ed empatia con la protagonista, una rappresentazione forse letterale dell’autolesionismo a cui si è sottoposta (in modo ovviamente molto meno violento) o, secondo me più probabilmente, una rappresentazione del disgusto e della poca attenzione che J.J. ha verso il corpo in cui è nata, una gabbia che la tiene chiusa in delle carni che non sente proprie.
Così è come si sensibilizzano le persone tramite l’arte: niente forzature, niente propaganda estrema, niente slogan grandi come una casa (nel gioco non viene mai pronunciata la parola “transessuale”: può sembrare una stupidaggine, ma non lo è). Solo la cruda realtà della psiche di una persona che non si accetta e non viene accettata, arrivando a non desiderare più una vita così ostile. Facile colpire con tematiche simili? Forse. Ma non è scontato farlo con così tanto rispetto e cura, non ricercando il lacrimone facile ma riuscendo a smuovere qualcosa con momenti piccoli e semplici, come un abbraccio, una frase, un’immagine.
E, con un po’ di orgoglio, assicuro che nel vivere una storia del genere, l’essere stata in grado di giocarla al posto che semplicemente guardarla è stata un’esperienza unica, che non dimenticherò a breve. Non sono solo “giochini per bambini”, e un titolo come The Missing lo dimostra nel modo migliore possibile.
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