Ghoswire:Tokyo - VisiThors

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Ci sono personalità di spicco che attirano l’attenzione nel mondo dei videogiochi, e Shinji Mikami è uno di loro. Creatore della saga di Resident Evil, Mikami ha fondato nel 2010 Tango Gameworks dopo essersi allontanato da Capcom, pubblicando sotto il nuovo nome i titoli della serie The Evil Within.
Pur non essendo Mikami direttamente coinvolto nello sviluppo, la sua presenza all’annuncio durante l’E3 2019 di Ghostwire: Tokyo, nuovo gioco di Tango, ha fatto drizzare a molti le orecchie, me compresa.
Presentato come un nuovo horror ambientato a Tokyo che avrebbe ripreso a piene mani dalla tradizione folkloristica del Giappone, mi ha subito incuriosita, per lasciarmi poi non particolarmente convinta con il secondo trailer, che ha presentato un prodotto decisamente diverso da come me lo sarei figurata, apparentemente molto più action che horror.
Per questo motivo ho deciso di non prendere il titolo il 25 marzo 2022 (giorno del day one), ma ho scelto di aspettare qualche mese in modo da poterlo acquistare ad un prezzo più abbordabile e che non mi avrebbe fatto pesare troppo un’eventuale delusione. Delusione che, per fortuna, non c’è stata.
Non fraintendetemi: il gioco non è assolutamente quello che mi sarei aspettata dal reveal trailer, rispecchiando molto di più quello che si è visto nel trailer che mi ha fatto storcere il naso. Ma Ghostwire è riuscito a fare una cosa che non è affatto scontata: pur non essendo nemmeno lontanamente un capolavoro o un’opera innovativa, l’ho trovato divertente. Dannatamente divertente. E quindi, senza ulteriori indugi, iniziamo la trattazione di quest’opera così standard, eppure così godibile.
TRAMA
Il gioco inizia a Tokyo, più nello specifico nel celebre incrocio di Shibuya (luogo ricorrente anche in Persona 5, di cui trovate una trattazione nella sua versione Royal su questo sito), dove si è appena svolto un terribile incidente. Una delle vittime di suddetto incidente è Akito, un ragazzo poco più che ventenne che si stava recando in moto all’ospedale per andare a trovare la sorella, tenuta ricoverata lì.
Akito viene scelto da un misterioso spirito, recatosi sulla scena dell’incidente alla ricerca di un corpo da possedere. A quel punto il ragazzo si risveglia con la mano destra posseduta dallo spirito, che cerca di convincerlo ad accettare con le buone la possessione. A quel punto una strana nebbia invade le strade di Shibuya, trasformando ogni essere umano in uno spirito eccetto che per Akito, salvato proprio dalla presenza del nuovo spirito in lui.
Akito, il protagonista dell'avventura
Subito dopo sugli schermi di Tokyo compare un uomo con una maschera hannya (che sarà conosciuto appunto solo come Hannya) che imprigiona tutti gli spiriti umani in delle specie di gabbie, evocando anche diversi mostri. Lo spirito che possiede Akito gli dice che ha bisogno del suo corpo per rintracciare Hannya e fermarlo, ma il ragazzo lo costringe a concedergli prima di andare all’ospedale per controllare come stia Mari (la sorella); poi gli concederà volontariamente l’utilizzo del suo corpo per il suo scopo.
Lo spirito dona ad Akito dei poteri spirituali per poter affrontare i mostri che gli si pareranno davanti ed i due si recano insieme all’ospedale. Lì si rendono conto che Hannya li ha preceduti, trovandosi già al capezzale di Mari, che scopriamo essere in coma. A quanto pare vuole utilizzare la ragazza per una sorta di rituale non meglio specificato, e nel tentativo di fermarlo Akito viene trafitto al petto, accasciandosi al suolo e non riuscendo ad evitare che la sorella sia rapita.
Dopo un breve flashback che mostra come Mari si sia trovata in quello stato, Akito e lo spirito (che dice di chiamarsi KK) fanno un patto: KK può salvarlo tramite la possessione, ma i due dovranno cercare Hannya. Avendo l’incentivo a salvare Mari, Akito questa volta accetta senza esitazioni, e così inizia la vera e propria avventura per le strade di Tokyo alla ricerca del misterioso Hannya.
Prima di andare oltre, accenno che per chi lo volesse c’è anche un’introduzione a questa introduzione presente in gioco: nello store è infatti reperibile un prologo gratuito, una mini visual novel di meno di mezz’ora che ci racconta qualcosa del passato di KK. Nulla di che e nulla che debba essere recuperato (tramite un collezionabile in gioco potremo venire a sapere cos’è successo senza nemmeno doverci giocare), ma una buona mezz’oretta da spendere se non si sa cosa fare prima di iniziare a giocare a Ghostwire.
Hannya, con una rivisitazione della maschera iconica del folklore giapponese
GAMEPLAY
Ghostwire è tutto fuorché un horror: grazie alla Tessitura Eterea concessa da KK (le abilità spirituali che ottiene Akito) ci troveremo a giocare a quello che è a tutti gli effetti un FPS, solo che al posto di fucili e pistole ci sono proprio le nostre nuove abilità spirituali.
La base della Tessitura sono tre tipologie di attacco: la Tessitura d’Aria, quella dell’Acqua e quella del Fuoco. Quella d’Aria è ottimale per gli attacchi a distanza, scagliando dei piccoli vortici di vento; quella d’Acqua invece, generando degli archi d’acqua, è perfetta per gli attacchi ravvicinati, mentre quella di Fuoco è in poche parole l’artiglieria pesante, un colpo perforante che fa molti più danni delle altre Tessiture. Ognuna delle Tessiture ha un attacco speciale eseguibile caricando l’attacco normale, una sfilza di colpi per quella del Vento, qualche arco per quella d’Acqua, ed un’esplosione ad area per quella di Fuoco. In aggiunta a questo otterremo presto un arco (ottimo per tentare degli headshot a distanza e sbarazzarsi di nemici senza che si accorgano di noi) e dei Talismani, consumabili che ci consentiranno diversi vantaggi, dal fare ingenti danni al paralizzare gli avversari per qualche istante.
Tutte le Tessiture hanno un numero di “munizioni” utilizzabili, che si ricaricheranno in parte ogni volta che sconfiggiamo un nemico, o distruggendo i coaguli di Etere che troveremo sparsi per Tokyo. Il numero massimo di munizioni per ogni tipo di Tessitura può essere aumentato pregando alle statue Jizou sparse per la mappa, di cui ne esistono un tot per ogni tipo di attacco (con la Tessitura di Vento che avrà sempre il numero maggiore di munizioni, quella d’Acqua al secondo posto e quella di Fuoco con il numero minore di colpi). Tutto il combat system si basa su una meccanica centrale: l’estrazione del nucleo dei Visitatori (così sono chiamati i mostri che ci ritroveremo ad affrontare nei panni di Akito). Con ogni colpo, infatti, vedremo i nostri avversari “creparsi” e rompersi, esponendo man mano che gli facciamo danni il loro nucleo interno, un poliedro giallo. Quando esposto, potremo uccidere immediatamente il nemico, estraendolo a distanza grazie alle abilità di KK oppure andando corpo a corpo e distruggendolo (c’è un attacco corpo a corpo, ma servirà principalmente per rompere i coaguli di Etere e ogni tanto per fare un numero di danni più elevato ad avversari particolarmente vicini).
La Tessitura di Fuoco
I nemici inoltre, se raggiunti di soppiatto da dietro, potranno essere purificati, risultando in una vera e propria uccisione stealth nel caso di avversari più deboli o in danni ingenti nel caso di avversari più grossi o miniboss.
Molto utile per estrarre i nuclei degli avversari si dimostra la Coesione con KK, una barra che segnala quanto Akito e KK siano in risonanza e che quando piena ci permetterà con la pressione dei joystick di attivare una modalità in cui faremo molti più danni del solito, esporremo i nuclei più velocemente ed in generale vedremo i nostri nemici muoversi più piano.
Mi sento di dire che l’estrazione del nucleo, per quanto una meccanica semplice, è resa estremamente divertente e soddisfacente dal titolo, a parer mio principalmente per come è stata implementata nel feedback aptico del Dualsense (che in Ghostwire ogni tanto fa la sua porca figura).
Aggiungo poi che a parer mio il gioco va esperienziato a difficoltà difficile: normale è un po’ troppo facile e rischia di diventare noiosa e ripetitiva, mentre quella difficile offre un livello di sfida maggiore ma non frustrante, che costringe il giocatore a fare attenzione e non sottovalutare gli avversari che ha davanti, pena il game over o uno scontro particolarmente sporco.
Prima di abbandonare il combat system, qualche parola sulla varietà di nemici, di boss e miniboss. Ci sono vari nemici base, abbastanza da costringerci sempre ad un approccio diverso in base all’avversario, qualche avversario più potente considerabile un miniboss e qualche boss di trama. Mentre i primi due sono sempre godibili, per quanto non ci sia nessuno con moveset o meccaniche particolarmente ispirate, i boss invece sono deludenti: non sono assolutamente noiosi, ma non presentano davvero nessuno spunto particolare, risultando in una mediocrità che non riesce mai a diventare memorabile.
Ma in Ghostwire non passeremo tutto il tempo a combattere: molte delle nostre ore di gioco saranno occupate dall’esplorazione, che a parer mio è la parte più divertente dell’intero titolo. Correre e saltare sui tetti delle strade di Tokyo è estremamente soddisfacente, e la presenza di diversi collezionabili ci spinge a voler esplorare ogni angolo, in un’esperienza che rischia di diventare un po’ ripetitiva solo se ci si vuole dedicare al Platino (impresa che proprio per questo motivo io ho abbandonato alla fine).
L'estrazione contemporanea di diversi Nuclei
Tokyo è piena di punti di interesse, a partire dalle molteplici missioni secondarie per poi andare a finire con i vari collezionabili, con le loro descrizioni che ci illustrano degli aspetti della cultura giapponese tradizionale o contemporanea. Quest’ultimo aspetto è un grossissimo pro del titolo: qualsiasi persona interessata al Giappone troverà pane per i suoi denti in Ghostwire, dato che praticamente tutto, compreso il cibo che troveremo in giro per la mappa o potremo acquistare e che sarà il nostro modo di curarci, avrà una descrizione che ci offrirà un minimo di insight sulla cultura giapponese.
Esplorando potremo trovare le già citate statue Jizou, dei portali Tori da purificare per poter sbloccare nuove aree della mappa (che prima della purificazione saranno rese inaccessibili da una fitta nebbia che ci danneggia), dei Rosari, Yokai, negozi vari ed infine i veri e propri collezionabili. Ma una cosa alla volta.
I Rosari sono un pezzo di equipaggiamento (ne potremo equipaggiare fino ad un massimo di tre contemporaneamente) che ci darà diversi bonus, a partire da un miglioramento delle prestazioni delle varie Tessiture fino a dei vantaggi per lo stealth. Tendenzialmente sono trovabili nei portali Tori che purifichiamo, oppure ci verranno dati come premio dopo aver svolto degli incarichi secondari.
Gli Yokai sono spiriti sparsi per le strade di Tokyo che potremo cacciare per rubare la loro essenza ed ottenere così i Magatama. I Magatama sono uno strumento fondamentale in quanto servono per sbloccare alcune diramazioni nell’albero delle abilità, che si suddivide in una parte dedicata alle capacità di Akito (come ad esempio potenziare la Visione spettrale, quella che può essere definita in soldoni l’Occhio dell’Aquila di Ghostwire, una visione che ci permetterà di vedere nemici e punti di interesse entro un determinato raggio), una dedicata alla Tessitura Eterea ed infine una parte dedicata all’equipaggiamento, che gestisce principalmente il numero di risorse che possiamo equipaggiare (frecce, cibo e Rosari).
I negozi costellano le strade di Tokyo, e si suddividono in due categorie: i negozi normali, da cui potremo acquistare cibo, Katashiro (degli strumenti molto utili che vedremo a breve) e frecce, e le bancarelle, in cui potremo trovare oggetti unici, abiti con cui personalizzare Akito ed in generale cose secondarie, come pose per la modalità foto o tracce musicali. Nelle bancarelle, inoltre, potremo accedere a degli incarichi secondari che ci frutteranno diversi meika, la valuta di gioco. Ogni Nekomata infatti (perché sì, tutti i negozi sono gestiti da Nekomata) desidererà che gli vengano venduti alcuni collezionabili, che quindi una volta trovati avranno una loro utilità effettiva e non rimarranno semplicemente un’interessante pagina nel codex. I collezionabili sono molteplici: possono essere oggetti tradizionali giapponesi -quelli che potremo vendere ai Nekomata e che ci daranno diverse informazioni sulla cultura nipponica-, spiriti oppure Tanuki. Gli spiriti sono le persone che sono state trasformate in spiriti da qualsiasi cosa abbia combinato Hannya, e che Akito e KK potranno salvare grazie alle Katashiro, delle figurine di carta che permettono di “raccoglierli” (fino ad un massimo di 50).
Una delle negozianti Nekomata (vi aspettavate altro?)
Una volta raccolti potranno essere depositati nelle cabine telefoniche sparse in giro per Tokyo, che hanno un dispositivo che permette il trasferimento grazie ad un collaboratore di KK che impareremo a conoscere durante la storia, Ed. Ogni trasferimento di spiriti ci darà tot meika e punti esperienza, in modo direttamente proporzionale al numero di spiriti che stiamo trasferendo.
I Tanuki infine sono… tanuki, che potremo individuare in giro per la mappa qualora vedessimo degli oggetti con una sospetta coda, oppure oggetti in luoghi in cui chiaramente non dovrebbero essere (come un distributore su un tetto).
 
Oltre a tutto questo, Ghostwire contiene un buon numero di missioni secondarie, che pur nella loro ripetitività si dimostrano sempre estremamente divertenti grazie al gradevolissimo gameplay loop del titolo: non è mai noioso andare ad esorcizzare uno spirito o occuparsi di qualche orda, e pur senza degli spunti particolari (se non dal punto di vista estetico, in cui il gioco riesce a raggiungere dei bei picchi) è sempre un piacere dedicarsi alle missioni secondarie non appena ne vengono sbloccate alcune prima di proseguire con la trama principale.
 
Il punto di Ghostwire, quindi, è similare a quello che dissi per Ghost of Tsushima nella mia recensione: non ci sono innovazioni, spunti particolari o idee mozzafiato, ma c’è un gioco che non vuole essere troppo ambizioso e che fa bene quello che vuole fare, offrendo un’esperienza sempre godibile e divertente per tutta la sua durata. Ripeto, può iniziare a stuccare solo con alcuni trofei per ottenere il Platino, ma essendo una cosa totalmente opzionale e a puro appannaggio del giocatore, non mi sento di sottolinearlo come effettivo difetto del titolo.
 
Sottolineo però nuovamente una cosa: il gioco non è un gioco horror, in nessun modo. Sì ci sono mostri brutti e cattivi e qualche istanza inquietante durante le missioni, ma lo scopo non è chiaramente spaventare, bensì raccontare una storia che affronta temi quali il lutto e la sua accettazione supportata da un gameplay che è una gioia da giocare.
 
Chiarito questo, possiamo passare oltre, non dedicandoci ancora alla sezione spoiler di questo articolo.
Uno dei Tanuki che incontriamo durante l'avventura
COMPARTO TECNICO E ARTISTICO
Il titolo visivamente fa la sua bella figura. Non è assolutamente nulla di trascendentale o dal comparto tecnico spacca mascella, ma il colpo d’occhio è molto gradevole ed in generale non ho notato né sbavature particolari, né rallentamenti o cali di frame che potessero inficiare l’esperienza.
Ho trovato invece il comparto artistico particolarmente ispirato: non sono molte le istanze in cui la creatività degli autori viene sguinzagliata, ma ogni volta che succede il risultato è eccezionale. Sia durante la trama principale che durante le secondarie ci sono alcune sequenze (spesso quelle dal sapore più inquietante ed orrorifico) spettacolari, un tripudio di forme e colori che non possono non rimanere impressi, con un utilizzo anche di componenti 2D che si muovono lungo le pareti che creano un effetto davvero efficace e memorabile.
Il design delle creature è invece sia un pro che un contro: non completamente colpa degli autori data la scelta di basarsi su determinate leggende metropolitane e il folklore giapponese, la maggior parte dei mostri base sono delle banalissime persone rese inquietanti dalla mancanza di lineamenti facciali o qualche altra caratteristica disturbante, ma poco altro. Le creature più bizzarre e rare invece sono molto più interessanti, con quelle uniche (principalmente le bossfight) che in alcuni casi mozzano il fiato per il lodo bellissimo e disturbante design.
Nulla da dire invece, purtroppo, sul versante musicale: come spesso accade non c’è niente di fuori luogo o che faccia storcere il naso, ma non è presente nemmeno una traccia che rimanga impressa in modo particolare, o che durante il gioco faccia “distrarre” per fermarsi ad ammirarla. Sempre un peccato, ma qualcosa di estremamente comune nel mondo dei videogiochi.
Una delle creature che dovremo affrontare
Due parole infine sul doppiaggio: giocato rigorosamente in giapponese, si è dimostrato ottimo. Sia KK che Akito sono ben caratterizzati nelle loro voci (cosa importantissima, dato che non vedremo quasi mai KK ed essendo il gioco in prima persona di Akito non vedremo il volto o il linguaggio corporeo durante le interazioni che costellano l’esplorazione), e anche i personaggi secondari che orbitano intorno alle loro vicende hanno fatto il loro porco lavoro. Segnalo in particolare alcuni degli audio reperibili come collezionabili in giro per la città, di cui alcuni rimangono veramente impressi per la bravura del doppiatore.
Detto questo, finisce qui la parte senza spoiler dell’articolo, dato che è impossibile continuare a parlare di Ghostwire senza entrare più nel dettaglio nella trama. Saluto qui chi non abbia ancora giocato al titolo, sperando di aver fugato eventuali dubbi, mentre invece invito a rimanere chi abbia già giocato a Ghostwire, o chi sia è qui per curiosità e non teme gli spoiler.
La schermata di equipaggiamento
TRAMA E NARRAZIONE
La storia di Ghostwire non è nulla di che, ma ha un grandissimo pregio: pur trattando delle tematiche molto importanti non è minimamente ambiziosa, e si accontenta di affrontarle in modo semplice e genuino, a tratti anche banale ma mai in modo pomposo o forzato. Non cade nella trappola di prendersi troppo sul serio, trappola che era estremamente probabile dato che il tema principale del titolo è la morte e soprattutto il lutto, la sua accettazione e superazione. Lo vediamo nelle missioni secondarie ma soprattutto proseguendo con la trama, che alla fine riesce persino ad avere qualche momento in grado di smuovere qualcosa nel caso in cui riesca a toccare le corde giuste dei giocatori (come ha fatto con me, che pur non commuovendomi ho avuto il groppo in gola in un paio di istanze e dialoghi).
Stipulato il contratto con KK, egli ci invita a recarci in quello che in vita era un rifugio che ha allestito. Una volta giunti lì, ci rivela di aver fatto parte di una squadra di investigatori di sovrannaturale che hanno passato anni a cercare di fermare Hannya, ma che infine hanno fallito. Noi avremo già conosciuto la squadra nel caso in cui avessimo giocato al prologo gratuito, sapendo che quindi era composta da KK stesso, Erika, Rinko e Ed, personalmente il mio preferito (un intelligentissimo esperto di tecnologia che sa avere a che fare con le persone così poco da parlare riproducendo delle registrazioni che ha fatto per ogni evenienza: come si fa a non affezionarcisi). KK però non si dà per vinto, la sua motivazione a sconfiggere Hannya ciò che lo mantiene ancora in questo mondo seppur in forma spirituale. Akito e KK iniziano quindi a dedicarsi alla ricerca di Hannya, individuando invece uno dei suoi collaboratori (Hannya è infatti aiutato da altre tre figure mascherate). Seguendo la figura i due giungono in una sorta di santuario sotterraneo, in cui finalmente KK rivela ad Akito quale sia il piano contorto del nemico: egli vuole rubare quante più anime possibile dal mondo, in modo da poter distruggere definitivamente la barriera che separa il mondo dei vivi da quello dei morti. Questo per creare una sorta di perverso paradiso in cui la distinzione non esista più, creando un nuovo mondo in cui possa ricongiungersi con la moglie e la figlia, la cui morte l’ha gettato in questa spirale di follia. Mari, la sorella di Akito, a quanto pare è adatta per fungere da catalizzatore per questo macabro rituale.
Hannya e i suoi alleati riescono a fuggire, mentre il collaboratore che Akito e KK hanno seguito rimane indietro per affrontare i due ed impedirgli di lanciarsi all’inseguimento degli altri. Dopo una bossfight senza infamia e senza lode, durante lo scontro la maschera dell’uomo viene persa, rivelando la sua identità: altro non è che un burattino realizzato da Hannya con il cadavere di KK. Sconvolto ed infuriato dalla vista del proprio corpo KK si rende vulnerabile, permettendo all’uomo di aggredirlo e di riuscire a separarlo dal corpo di Akito, lasciandolo senza poteri e armato solo del suo arco.
Inizia così una breve sezione di gioco in cui interpreteremo Akito da solo, che una volta risvegliatosi cerca subito un modo di rintracciare KK. Torna al suo rifugio alla ricerca di qualche indizio o qualcosa di utile, e lì incontra lo spirito di Rinko, che gli rivela che KK aveva una famiglia (una moglie ed un figlio) e che lo aiuta nella sua impresa: gli dice infatti che lui e KK in fondo sono ancora collegati, e che deve usare questa connessione per rintracciarlo (sì, lo so: grida “plot convenient”).
Okina, uno dei boss
Ricongiuntosi con KK proprio grazie alla loro ancora esistente connessione, i due si lanciano di nuovo alla ricerca di Hannya che ormai ha iniziato il suo rituale, simboleggiato da una enorme colonna di luce che è comparsa nella città. I due trovano Hannya e tentano di affrontarlo, solo per venire fermati dagli altri due collaboratori, che si rivelano essere degli altri burattini, questa volta realizzati con il corpo della moglie e della figlia di Hannya stesso (e viene anche rivelato che la figlia è Erika, una delle ex collaboratrici di KK). C’è una bossfight con il burattino-Erika che viene sconfitto, ma proprio mentre Akito e KK stanno per liberarlo dalla sua condizione Hannya scatena una creatura spirituale sulla città, fuggendo oltre una coltre della nebbia dannosa che segna i vari confini della mappa.
 
KK dice ad Akito che Rinko aveva realizzato una moto fatta apposta per poter attraversare la nebbia (di nuovo: plot convenient), ed una volta riparata potranno raggiungere Hannya. I due si dedicano quindi alla ricerca di pezzi di ricambio per poi montare sopra la moto e solcare la coltre di nebbia. Non appena superatala, vengono attaccati dal burattino-KK, che distrugge la moto ma non riesce a fermarli. I due si dirigono quindi verso la Tokyo Tower, punto nevralgico del fascio di luce, e vengono attaccati dal burattino-moglie, che sconfiggono dopo una bossfight e che riescono a liberare. Nel frattempo incontrano anche Rinko, che finalmente abbandona il mondo terreno per andare totalmente in quello spirituale dopo aver scoperto dov’è Erika, la cui scomparsa l’aveva destabilizzata e trattenuta qui: dopo la promessa che KK e Akito faranno di tutto per liberarla, Rinko scompare.
 
I due scalano la Tokyo Tower, salita durante la quale Akito sente la voce di Mari dirgli cose orribili come il fatto che a lui in realtà non importa di lei ma vuole salvarla solo per non avere il senso di colpa della responsabilità della sua morte (una delle sezioni che dicevo mi ha colpito molto, perché le parole che vengono dette sono davvero molto pesanti). Giunti in cima, Hannya prende Mari e si getta nelle fauci di un enorme mostro spirituale per fuggire, mentre i due vengono trattenuti dal fantoccio-KK. Lo sconfiggono e riescono a liberarlo, gettandosi a loro volta nelle fauci della creatura.
Una volta dentro, i due vivono una visione in cui si susseguono i ricordi di Akito e Mari, rivelando così che Akito è diventato sempre più chiuso nei confronti della sorella, soprattutto dopo la morte dei genitori, elementi che hanno gettato Mari in una sorta di profonda depressione con pensieri suicidi.
Superata la provante visione, i due raggiungono Hannya, che sta per attraversare la porta verso gli inferi. A questo punto interviene però lo spirito di Mari, che riesce a fermare Hannya prima che varchi la soglia. Mari parla con il fratello, dicendogli che non deve sentirsi in colpa per quello che le è successo (Akito si è sempre ritenuto responsabile per l’incendio che l’ha mandata in coma), ma che è lei stessa ad essersi messa in pericolo, non scappando immediatamente dalla casa per prendere le fedi dei genitori, unico ricordo che i fratelli avevano di loro. Mari a questo punto muore, e Hannya ritorna in una versione mostruosa fusosi con gli spiriti di sua moglie e di sua figlia, creatura che Akito e KK sconfiggono definitivamente, liberando tutti e tre e tutte le anime catturate da Hannya. Finalmente lo spirito di Mari è pronto ad andare nell’aldilà, e viene portato lì dagli spiriti dei genitori suoi e di Akito, con quest’ultimo che, come ultimo saluto, promette di condurre una vita che lo soddisfi.
Scongiurato il pericolo di Hannya arriva anche il momento di salutare KK, che abbandona definitivamente il corpo di Akito per andare nell’aldilà mentre il ragazzo torna nel mondo dei vivi, pronto ad andare avanti con la sua nuova vita.

Poca originalità, tanto amore
Come avete potuto ben vedere, la trama non è niente di che, nulla di trascendentale né nulla che possa rimanere per anni e anni nella memoria del giocatore. Però, nella sua semplicità e a tratti banalità, è una storia sincera, fatta di buoni sentimenti e che trasmette un messaggio importantissimo, ossia la capacità di accettare e superare i lutti che costellano la vita di ciascuno, anche quelli più pesanti.
E la forza di Ghostwire è proprio questa: la sua genuinità, il suo non prendersi mai troppo sul serio per poi trattare argomenti molto seri, ma senza arroganza o prepotenza, solo con tanta voglia di parlarne.
Se quindi non si può certo dire che la trama sia il punto forte del titolo, quanto meno è una trama godibile e gradevole, che potrebbe toccare le corde giuste di alcuni giocatori in determinate istanze e forse far commuovere, o addirittura riflettere.
Un piccolo plauso va invece ad alcune componenti secondarie: in primis le interazioni fra Akito e KK mentre si esplora il mondo di gioco, che passano da fredde e caute a molto più calorose e condite da un sincero affetto man mano che la trama va avanti, e poi gli audio che potremo raccattare in giro per la mappa fatti da Hannya stesso e che fungono da testimonianza alla sua discesa nella follia in seguito alla morte della moglie, con il suo fortissimo desiderio di ricongiungersi ad ella in qualsiasi modo possibile (Gendo sei tu?). Anche le registrazioni lasciate in giro da Ed sono interessanti, dandoci qualche insight sul mondo di gioco e su alcuni elementi di ambientazione non specificati altrimenti.
Ci sono quindi anche delle simpatiche chicche in Ghostwire, oltre che una buona dose di umorismo che non viene quasi mai dimenticata (un esempio è la descrizione delle mani di Akito nel menu di equipaggiamento, che recita qualcosa sulla falsa riga di “le mani di Akito. Le ha sin da piccolo”).
Tutto sommato quindi il comparto narrativo riesce ad essere soddisfacente pur senza originalità, risultando in un’esperienza godibile non solo dal punto di vista del gameplay ma anche sotto il versante della trama.
CONCLUSIONI
Ghostwire: Tokyo è una bestia strana. Un prodotto che forse potrebbe essere definito mediocre, ma di una mediocrità quasi perfetta, che lo fa uscire da quella categoria per rientrare fra le opere che riescono a soddisfare il giocatore, sorprendendo con la sua semplicità e mancanza di ambizione.
Di conseguenza, non sarà una sorpresa se dico che lo consiglio a chiunque sia anche solo vagamente interessato al titolo, a patto che non lo si acquisti aspettandosi un horror: in quel caso, rimanere delusi è inevitabile. Ma, con le aspettative giuste, Ghostwire riesce a dimostrarsi in tutto il suo piccolo splendore come un gioiellino, un’opera capace di intrattenere con successo per qualche decina di ore e che potrebbe addirittura smuovere l’emotività di alcuni giocatori, offrendo alcune sezioni che pur non essendo indimenticabili in generale, possono diventarlo per il singolo.
Inoltre, consiglio in modo particolare l’acquisto a chiunque sia interessato alla cultura giapponese, tradizionale e contemporanea: troverete pane per i vostri denti con i meravigliosi collezionabili e le loro descrizioni, sicuramente uno dei punti più a favore del titolo.
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